VORREI UNA VOCE di e con Tindaro Granata

1 Dic 2024 | Accredito Teatro

disegno luci Luigi Biondi, costumi Aurora Damanti, assistente alla regia Alessandro Bandini, produzione LAC Lugano Arte e Cultura in collaborazione con Proxima Res

(in tournée)

Tindaro Granata si fa portavoce in scena di chi una voce non ce l’ha, di chi è troppo lontano da tutto per poter essere ascoltato. Voce di donne che non hanno più la spensieratezza e la libertà per sognare. Racconta le storie di cinque detenute nella Casa Circondariale di Messina, frutto di un lavoro iniziato nel 2019 nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi diretto da Daniela Ursino, che ha visto in scena nel teatro del carcere prima le detenute-attrici e ora, in forma di monologo, l’attore siciliano. (foto di Masiar Pasquali)

Sono storie di madri, di figlie, di mogli quelle che si fa carico di raccontare Tindaro Granata. Donne la cui colpa è spesso quella di aver dato fiducia all’uomo sbagliato, imbrigliate nella morsa di una famiglia che le ha trattenute come filo spinato. Storie di donne abusate, raggirate, truffate che stanno scontando una pena per la quale sono state già condannate e con cui Granata, che racconta anche la sua di storia, invita a empatizzare. Chiama in causa lo spettatore chiedendogli di lasciare da parte il giudizio, per prendere coscienza di una condizione sconosciuta e lontana. Una condizione resa ancora più aspra da un meccanismo di regole e proibizioni del sistema detentivo che ha tra le prime conseguenze per le detenute l’inibizione della femminilità e la libera espressione del proprio essere.

Le canzoni di Mina cantate in playback sono il trucco di finzione dietro il quale si maschera la paura di doversi raccontare, prima di tutto a sé stesse. Proponendo un gioco che Granata faceva da bambino, i testi mimati diventano un veicolo per far venire fuori le emozioni, per tornare a sognare. Immedesimarsi con il personaggio di Mina è tentare di restituire quel senso di femminilità che le sbarre hanno fatto dimenticare.

Le luci di Luigi Biondi evocano le personalità assenti delle detenute, restituite anche nell’imitazione di movenze e dialetti da Granata. Pulsano sul volto dell’attore con il ritmo di un respiro. Sono una polvere luminosa che si stacca dagli abiti fatti di paillettes di Aurora Damanti e cade a terra, lasciando il riverbero di un sogno da recuperare, da riformulare.

Tindaro Granata trasmette un grande rispetto per le storie che racconta. Se ne prende cura, con gentilezza e sensibilità. Lo spettacolo è un omaggio a queste esistenze e a tutti coloro che hanno smesso di sognare. Ma soprattutto è un omaggio al teatro, come mezzo che attraverso l’illusione del “far finta di”, restituisce una libertà negata.

data di pubblicazione:1/12/2024


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