“Se hai tutto sotto controllo, significa che non stai andando abbastanza veloce.” La frase del pilota di Formula 1 Mario Andretti è il secco start che dà il via al film di Matteo Rovere Veloce come il vento, fornendo da subito spunti inaspettati su quello che nella vita di ognuno è il contrasto tra desiderio di velocità e necessità di controllo.
La storia di Veloce come il vento è una storia di una speranza e di una lotta per una vita diversa; è una storia di corse automobilistiche e di un dramma familiare, raccontata con misura, a tratti commovente, storia di un ricongiungimento tra anime perse.
Giulia De Martino è una diciassettenne che partecipa, spronata dal padre, al campionato italiano GT. Purtroppo durante una gara il padre di Giulia muore a causa di un infarto e al funerale compare Loris, il fratello maggiore, che si era allontanato dalla famiglia perché oramai tossicodipendente. Loris è un ex-pilota, soprannominato “ballerino” e pur di non perdere la casa, ereditata dal padre, comincia a fare da trainer a Giulia. Nel rapporto sempre più stretto che si instaura tra maestro e allieva, tra fratello maggiore e sorella minore, c’è soprattutto l’invito ad assumersi quei rischi necessari per emergere e a costo di tagliare il cordolo anche se la curva è pericolosa, perché solo ai temerari è destinata la vittoria.
Lei, piena di grinta e più matura della sua età, e lui, che ha sperperato il suo talento con le droghe pesanti, non potrebbero essere più distanti, ma trovano un terreno comune in quella passione per l’alta velocità che è nel DNA di famiglia.
Veloce come il vento, ispirato alla storia del pilota Carlo Capone, star delle corse negli anni ’80 oggi in cura per gravi problemi psichiatrici è anche molto altro: ha a riferimento i modelli hollywoodiani di genere, riadattati però con misura a contesti e contenuti prettamente italiani, ha la spettacolarità carica d’adrenalina delle corse, in pista come per strada; la storia del riscatto perlomeno parziale di Loris, inclusi gli accenni agli aspetti più drammatici della droga, esaspera lo scontro tra responsabilità e irresponsabilità, tra rischio e controllo.
Ottima la scelta dei protagonisti, con da un lato la giovane esordiente Matilda De Angelis, personaggio femminile raccontato in un contesto tipicamente maschile, capace di dare il giusto carattere a Giulia; dall’altra quella di uno Stefano Accorsi perfetto nel ruolo di tossico e disperato, fratello dimenticato, ma progressivamente sempre più interessato a far funzionare le cose per opportunismo ma anche per un affetto che progressivamente scopre.
Il film di Rovere appassiona e coinvolge e non annoia, imperfetto ma vero, coraggioso, assolutamente e finalmente innovativo per il cinema italiano; un motor movie all’emiliana, con tanto di slang romagnolo, di corse e di scontri, di sorpassi e di frenate, di curve tagliate e di cordoli, sui circuiti di Monza, Imola e Vallelunga e sulle strade cittadine di Matera, con al volante piloti sprezzanti del pericolo e disperati, che si giocano il tutto per tutto per superare i propri limiti e sopravvivere.
data di pubblicazione: 8/4/2016
Scopri con un click il nostro voto:
Se il trailer non mi aveva affatto convinta, mi sono dovuta ricredere davanti alla proiezione del film. Ottima la prova della protagonista Matilde De Angelis nonché quella di Stefano Accorsi e dell’attrice che interpreta “Annarella”. Matteo Rovere alla regia non delude e sperimenta con coraggio una storia vera senza alcuna nostalgia per il genere ad alta velocità made in USA. Lo spettatore respira e vive pienamente l’adrenalina dei cavalli rombanti, l’odore degli pneumatici roventi sull’asfalto, la polvere sollevata dalle macchine da corsa. Tra tutto mi ha colpito il finale con “sorpresa” proprio negli ultimi 3 minuti e, soprattutto, la “redenzione/rinascita” del “miscredente” cinico opportunista tossicodipendente Loris che un pò come il Gesù della “Passione” Mal Gibson, affronterà la sua prova più difficile proprio tra le viuzze di una Matera come sempre mistica anticamera di una svolta.