Sono passati oramai molti anni dall’apparizione sulla scena letteraria italiana del libro Seminario sulla Gioventù (Adelphi, 1984), romanzo d’esordio dello scrittore Aldo Busi.
Le vicende del protagonista Barbino furono subito associate ad episodi della vita stessa dell’autore e sorprendentemente positivo fu il giudizio dei lettori nei confronti del libro che presto venne etichettato come la sua autobiografia romanzata.
In Aldo Busi si intravide la figura di uno scrittore sui generis, capace non solo di scandalizzare la casalinga frustrata con i bigodini in testa e le ciabatte ai piedi, ma anche di sorprendere tutta quella generazione di post-sessantottini, ancora in erba, che lo innalzarono a profeta di un messaggio proprio, affascinante ma anche a suo modo rivoluzionario e provocatorio.
Dopo molti anni l’autore rinnegò pubblicamente che la sua opera prima facesse diretto riferimento agli anni della sua giovinezza a Montichiari (Brescia), accanto ad una madre petulante e a dei parenti dispotici, ma comunque tale dichiarazione non sconvolse più di tanto: oramai il suo talento letterario era stato decretato dagli innumerevoli romanzi che ne seguirono e la sua fama aveva già valicato abbondantemente i confini nazionali.
Nel frattempo erano seguite le sue prime apparizioni graffianti a cominciare dalla trasmissione Amici di Maria de Filippi, a seguire il reality show L’isola dei famosi, la trasmissione Otto e mezzo, con Barbara D’Urso in Stasera che sera ed altre ancora dove si andava sempre più rafforzando la configurazione di un personaggio trasgressivo e di rottura, in tutti i sensi.
In Vacche amiche, il suo ultimo sforzo letterario composto di un unico capitolo non stop, si segue con difficoltà: un susseguirsi di insulti e di critiche verso tutto e verso tutti dal quale emerge indenne solo lui, in una sorte di voluta mistificazione del sé e di autocompiacimento letterario, e dove non si riscontra più quella misurata provocazione accompagnata da una salata dose di ironia.
Insomma, una valanga denigratoria verso tutto ciò che esiste fuori dal proprio ego narcisistico, senza possibilità di redenzione e con una scrittura pesante da sopportare, dopo aver varcato i limiti della normale decenza.
Se Seminario sulla Gioventù ebbe una gestazione ventennale, ci si augura che anche il prossimo lavoro abbia una analoga attesa, perché la vera letteratura non si fa, come l’autore stesso afferma, “con parole scritte una dopo l’altra, in un certo modo dalla prima all’ultima…”
Forse il tutto dovrebbe essere accompagnato da un sano buon senso.
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