regia di Yaser Mohamed, con Sabrina Biagioli, Iris Basilicata, Mathilde Serre e Yaser Mohamed
(Teatro di Villa Lazzaroni – Roma, 21/23 febbraio 2025)
Città del Messico, seconda metà dello scorso secolo. In casa degli O’Conner trova accoglienza e lavoro Leonora, una povera ragazza che arriva dalla provincia. Il divario sociale la renderà presto vittima di abuso e sopraffazione. Aura Olivia, la figlia più piccola dei signori, è la testimone innocente del mondo creato dalla scrittrice statunitense cresciuta in Messico Jennifer Clement. Ha debuttato lo spettacolo che porta il titolo del romanzo, firmato da Sabrina Biagioli e Iris Basilicata per Sabris Teatro e la regia di Yaser Mohamed.
Nella società raccontata dalla scrittrice Jennifer Clement il divario che separa il povero dal ricco è abissale. Siamo a Città del Messico e la famiglia O’Conner assume come bambinaia Leonora, una ragazza che viene dal contesto marginale della provincia. Educata a dire sempre di sì e mai a esternare quello che pensa, ha ricevuto un’educazione votata al servizio. Un sapere fatto di rituali che mischiano il sacro con il profano trasmessole direttamente dalla madre.
Per sopravvivere da piccola raccoglieva insieme ai fratelli dei ramoscelli per fabbricare scope. Ma adesso ha un buon lavoro e può mangiare carne più volte a settimana. In casa con lei vivono anche Sofia, la cuoca, e Josefa, la donna delle pulizie che non sa parlare. Leonora si prende cura di Aura, l’ultimogenita della casa attorno alla quale si muove un mondo che una bambina come lei non può ancora comprendere.
Prodotto letterario di incantevole originalità, il romanzo della Clement, uscito nel 2001 – la traduzione italiana è di Paola Brusasco (Instar Libri, 2003) – presenta uno stile di scrittura che fonde brani di prosa e versi poetici, in buona parte ispirati dalla salmodia biblica. Il racconto della vicenda di Leonora in casa degli O’Conner, narrata in terza persona, si alterna alla voce in prima persona di Aura che osserva la vita con gli occhi innocenti di una bambina. L’uso frequente poi delle virgolette basse per il discorso diretto ha favorito sicuramente la scrittura drammaturgica, che non fa mistero di riportare sulla scena brani interi tratti dal libro.
Se per un verso questa decisione ha reso omaggio all’autrice, presente eccezionalmente alla prima, dall’altro ha costretto la scrittura drammaturgica a moderare la libertà creativa e la regia a adeguarsi al racconto risolvendo con stacchi di buio e ripetizioni l’incedere delle scene. Soluzione che però rallenta il ritmo della storia. Dopotutto il tempo della lettura, che offre più spazio per dipanare l’intricato simbolismo di un testo così profondamente poetico come Una storia vera fatta di bugie, non batte la stessa misura di quello imposto da una visione e da un ascolto dalla platea.
Ciò non significa però che lo spettacolo non sia un buon prodotto dal punto di vista visivo e interpretativo. Entrambi gli aspetti hanno saputo cogliere l’essenza del romanzo. La scena di Francesca Fontana, essenziale negli elementi, mostra al centro un grande albero di pompelmo, custode silenzioso del giardino dove si consuma la vicenda. Sul fondale, invece, compare come sospesa in aria una casa di bambole a raffigurare il piccolo mondo raccontato. Come a dire che lo spazio di casa O’Conner è troppo piccolo per l’immensità delle esistenze che lo abitano.
data di pubblicazione:25/02/2025
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