É finalmente arrivato nelle sale italiane Turner. Il film, osannato dalla critica, scritto e diretto da Mike Leigh, ha ricevuto ben quattro nomination agli Oscar (fotografia, scenografia, costumi e colonna sonora), dopo che il protagonista Timothy Spall è stato meritatamente premiato a Cannes per la migliore interpretazione maschile. Il regista, che assieme a Ken Loach potremmo definire un esponente di quel realismo inglese fatto di piccole storie contemporanee su persone appartenenti alle classi meno abbienti, spesso perdenti, personaggi sovente scomodi e difficili (Segreti e Bugie, Happy Go Lucky, Another Year), già ne Il segreto di Vera Drake aveva operato una digressione, accostandosi ad ambiti e storie lontane nel tempo, regalandoci un film bellissimo premiato poi con il Leone D’Oro a Venezia.
William Turner, pittore paesaggista dell’800, è un viaggiatore solitario che usa disegnare paesaggi sul suo taccuino per poi rielaborare gli schizzi su tela nello studio della sua casa; vive con l’anziano padre, che gli fa da instancabile assistente ma che in gioventù fu il miglior barbiere di Covent Garden, e verso il quale nutre un profondo affetto che manifesta attraverso una tenerezza che gli calza malamente addosso e che generalmente non mostra nei confronti di nessun altro essere umano, soprattutto se di genere femminile. Sembrerebbe infatti odiare particolarmente le donne, trattando con sprezzante distacco la moglie, dalla quale si è separato, e le figlie delle quali arriva addirittura a negarne l’esistenza, oltre alla sua devota governate che chiama damigella, ma che “possiede” quando ne ha voglia e senza troppe spiegazioni. In realtà Turner, uomo geniale dal brutto carattere, solitario e orso, odia tutte le persone parassite ed “affette da servilismo”, senza dignità, rivolgendo la sua stima ai rari esponenti del genere umano che con orgoglio e coraggio affrontano la vita ed il loro destino. Una di queste è la signora Booth, una vedova di cui si innamora inspiegabilmente. Paragonandola alla dea greca dell’amore Afrodite, Turner vive con lei gli ultimi anni della sua vita in una sorta di seconda giovinezza: Signora Booth, siete una donna di immensa bellezza…quando mi guardo io allo specchio vedo una garguglia. Il primo marito della signora Booth era morto disperso in mare mentre il secondo, che aveva lavorato sulle navi negriere, ne era tornato talmente turbato e scosso da non riuscire a sopravvivere con quel peso sul cuore; Turner, che nella sua vita aveva dipinto solo ridicoli naufragi, come ebbe a dire in un momento di collera la sua vera moglie, trova nell’accogliente e gentile Signora Booth il porto in cui rifugiarsi e trascorre gli ultimi anni della sua vita.
Sicuramente una pecca di questa pellicola è la lunghezza (149’); tuttavia il regista riesce attraverso la vita degli ultimi vent’anni di questo famoso pittore, a farci apprezzare l’approccio che l’artista ha con ciò che poi ritrae nei suoi quadri. Questo personaggio, così poco gradevole, ombroso, egoista, ma mai cattivo e capace di slanci imprevedibili, alla fine riusciamo anche ad amarlo, ad entrarci in empatia, affezionandoci alla sua rude scorza. E’ proprio la sua instancabile voglia di ritrarre ciò che lo colpisce, questa bramosia nel realizzare le sue opere, fatta tutta di istinti quasi animaleschi (che lo portano a sputare sulle tele per sfumare i colori), il filo che tiene lo spettatore legato alla sua storia così singolare.
data di pubblicazione 31/01/2015
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