(Teatro India – Roma, 12/21 maggio 2015)
Al Teatro India di Roma è stato presentato in questi giorni il Trittico Furioso: gli autori, Stefano Ricci e Gianni Forte, propongono questo loro progetto articolato in tre performances, che ci lascia alquanto sconcertati per la cruenta messa in scena che, in maniera mai ripetitiva, riesce a gestire l’intensa durata della narrazione senza mai allentare la tensione emotiva nello spettatore.
I tre lavori sono uniti tra di loro da un sottile, quasi impalpabile, fil rouge che comunque ci porta a riflettere sull’attuale condizione umana in cui tutti noi, in maniera più o meno cosciente, ci troviamo coinvolti.
Ciò che ci viene proposto non è solo un’azione mirata e studiata volta alla dissacrazione, fine a se stessa, di luoghi comuni, ma l’abbattimento di tabù ancestrali che ci portiamo dentro, da adulti, in ogni cellula del nostro corpo: una sorta di mondo a sé geneticamente manipolato e alieno alla nostra stessa natura.
Ci arriva quindi da Ricci/Forte un suggerimento per una maggiore presa di coscienza di quello che siamo, ma anche di quello che vorremmo essere. Ad alcuni di noi rimane, per le frustrazioni accumulate, il desiderio di un ritorno verso una protezione totale, oramai persa, che possedevamo solo nel grembo materno quando nuotavamo felici nel liquido amniotico e quando l’universo ci apparteneva veramente, perché eravamo nello stesso tempo parte di esso ma fuori dagli schemi spazio temporali, in una sorta di sospensione totale.
Noi oggi siamo qui, fatti di carne e sangue, nella pura illusione e mistificazione della realtà, circondati da tante cose che affollano i nostri spazi e che dovremmo usare con attenta parsimonia prendendone, nel contempo, debita distanza. Ed ecco che la scena che ci viene proposta utilizza non solo la plasticità dei corpi nudi degli attori, ma principalmente la parola ed i loro gesti per trasmetterci un messaggio di assoluta disperazione.
Ora noi siamo soli e l’amore, in qualsiasi forma manifestato, sfugge alla nostra portata perché sopraffatto da un uso bulimico del sesso mordi e fuggi, che alla fine ci lascia più delusi che mai. La discriminazione sessuale, l’odio irrefrenabile che sfocia in forme di violenza omofobica, è il tema conduttore del primo lavoro Still Life, quasi un omaggio alla memoria di quello studente gay che si è ucciso a Roma impiccandosi con una sciarpa rosa, colore che per antonomasia da sempre, come ci insegnano, è il colore della femminilità, precluso ad un vero uomo.
Mediante utilizzo di un simbolismo esasperato e dissacrante della realtà ci sforziamo di ricercare una nostra propria individualità e la scoperta di un sincero amore. Proprio questo è il tema suggerito dal secondo lavoro Macadamia Nut Brittle. Macadamia è il gusto del gelato della Haagen Dasz che i nostri protagonisti mangiano avidamente mentre raccontano, con un notevole carico di aspettative, di un intenso ed eccitante incontro sodomizzante con un fantomatico chat buddy da 24 centimetri, nell’illusione di aver finalmente trovato il compagno di vita per sempre.
Il duo Ricci/Forte, accanto all’uso sfrenato e narcisistico dei corpi in plurimi amplessi omosessuali, utilizza spesso i mezzi espressivi della pop art: ed anche se non abbiamo le confezione colorate delle zuppe Campbell’s, la sostanza non cambia di fronte a vassoi di muffins da allineare e sistemare metodologicamente, che poi andranno distrutti con furia incontrollata.
Il tema della discriminazione ritorna, sia pur in forme diverse, nel terzo lavoro: Imitationofdeath, scritto senza spaziature, dove la morte diventa l’estremo elemento di diversificazione. Anche qui i corpi nudi sembrano desiderosi di scrollarsi di dosso carne e pelle per anelare a qualcosa di più liberatorio.
I quadri plastici proposti, che dal buio della scena vengono ad animarsi per brevi istanti sotto luci accecanti, ci spingono ad una completa alienazione da qualsiasi forma reale. I nostri pensieri, anche i più banali, vengono tirati fuori con forza dalle nostre menti attraverso un sapiente gioco di chiaroveggenza.
Il duo Ricci/Forte è oggi considerato uno tra i più significativi esempi di una nuova forma di drammaturgia, raro esempio di espressione che utilizza veramente un linguaggio universale, capace di trasmetterci la disperazione dell’uomo di oggi nell’affrontare il quotidiano, attraverso la ricerca costante di venirne fuori.
Ottimo il cast che ha dato prova di assoluta padronanza dell’azione scenica, anche in momenti di estremo sforzo fisico ed espressivo.
data di pubblicazione 22/05/2015
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