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TABU- GOHATTO di Nagisa Oshima, 2000

Pellicole che hanno al centro un personaggio ricco di fascino che, entrando in una comunità, la destabilizza con il suo carisma, ve ne sono a centinaia. Ma di solito lo sconvolgimento dell’ordine costituito è visto con positività, come una possibilità di rivoluzione. Per esempio il protagonista di Teorema di Pasolini, che stravolge la vita e la psiche dei componenti della famiglia borghese dove capita, fu interpretato come metafora del ‘68 ma anche del Cristianesimo, e stessa sorte subì perfino E.T. di Spielberg. Non è il caso del giovane Kano, a mio avviso soltanto un angelo del male, nel nuovo film di Oshima, dal fascino ambiguo metà bambino metà demonio.

Tutti gli chiedono come mai, lui, ricco, sia voluto entrare tra i samurai e la sua risposta è chiara: per poter uccidere. L’ordine costituito del corpo dei samurai, che si fonda su regole d’onore e di saggezza ne resta sconvolto. Tutti o quasi tutti i samurai se lo vorrebbero portare a letto e per placare lo scandalo si arriva gradualmente alla tragedia finale. Ma è troppo tardi: nulla sarà più come prima e l’ultima scena, in cui l’eccellente Beat Kitano spezza, urlando, l’albero di ciliegio, sintetizza magnificamente questa idea.


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