STORIE PAZZESCHE di Damián Szifrón, 2014

Sugli schermi italiani addobbati per le Feste arrivano le Storie pazzesche (titolo originale: Relatos salvajes) dell’argentino Damián Szifrón, introdotte dall’altisonante (e accattivante) “Pedro Almodóvar presenta”, che benedice con la sua produzione un esperimento dall’esito certamente non scontato.

Sei episodi che si snodano lungo il filo conduttore del “farsi Giustizia da sé”, ma che restano sufficientemente distinti e distinguibili. Forse anche troppo, per chi entra al cinema aspettandosi di vedere un film inteso nella sua classica accezione.

È un umorismo nero quello innescato dalla scintilla che fa esplodere la rabbia troppo a lungo repressa dei protagonisti. Scene di vita quotidiana: un’automobile rimossa “ingiustamente”, un insulto di troppo tra automobilisti, un incidente stradale con vittime innocenti (la goccia che fa traboccare il vaso in ben tre storie su sei è legata a situazioni attinenti derivanti dalla circolazione stradale), una vita di rifiuti e frustrazioni, le ombre del passato che si materializzano all’improvviso, il tradimento del proprio uomo scoperto durante la festa di matrimonio.

Quando il Diritto e la Giustizia decidono di fare i separati in casa, l’unica via praticabile, quella più follemente razionale o più razionalmente folle, sembra indicata dalla Vendetta: a volta amara, a volte dolce, a volte liberatoria, a volte semplicemente necessaria.

Tra i sei episodi si registrano autentiche punte di diamante, come Pasternak, che precede i titoli di testa, o il tragicomico duello tra automobilisti ingaggiato in Il più forte. “Giustizia da sé”, unica soluzione follemente razionale quando si alza il telefono per chiamare la Polizia e la Polizia non risponde. Perché è proprio quando il Diritto e la Giustizia decidono di fare i separati in casa che trova fertile terreno la Vendetta: a volte amara, a volte dolce, altre volte semplicemente necessaria.

Personaggi ben caratterizzati, colpi di scena al posto giusto e al momento giusto, una morale facilmente intuibile. Come nella migliore tradizione del cortometraggio d’autore. Perché più che a degli “episodi” (sono lontani i tempi d’oro di film come Paisà) lo spettatore ha proprio l’impressione di assistere alla proiezione di sei “cortometraggi”.

Dopo aver sdoganato il documentario, il grande schermo tenta l’impresa anche con i corti? Ai posteri l’ardua sentenza. Lo spettatore odierno può godersi nel frattempo il riso amaro di storie pazzesche, eppure così ordinarie.

data di pubblicazione 28 /12/2014


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