STILL ALICE di R. Glatzer e W. Westmoreland, 2015

21 Gen 2015 | Accredito Cinema, cinema

statuetta

(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Gala)

Dopo esser valso alla protagonista Julianne Moore il meritato Golden Globe per la migliore interpretazione femminile in un film drammatico, Still Alice, presentato all’ultima edizione del Festival Internazionale del film di Roma, si prepara a conquistare, o forse a dividere nel giudizio, il pubblico italiano.

I due registi, R. Glatzer e W. Westmoreland, coppia nel lavoro e nella vita, con una carriera alle spalle decisamente singolare che parte dal mondo del porno per sperimentare poi generi sempre diversi, dal thriller al biopic politicamente impegnato, hanno confezionato un film dall’impianto tradizionale, che si sviluppa con un andamento e una forma piuttosto lineari e hollywoodiani, per raccontare l’inferno dell’Alzheimer, vissuto da Alice Howland (Julianne Moore), splendida cinquantenne, professoressa universitaria di linguistica e madre di tre figli.

Punti di forza sono alcune scelte intelligenti nel racconto, come lo stridente accostamento di una malattia che disintegra le capacità mnemoniche e cognitive proprio con una donna che sullo studio delle parole e del linguaggio ha costruito la propria vita e la propria carriera.

Convincente l’intero cast, compreso Alec Baldwin, che personalmente non incontra sempre i miei gusti; supera le aspettative l’interpretazione di Kristen Stewart, nei panni della figlia minore di Alice, attrice ormai matura per ruoli più difficili di quelli in cui ci eravamo abituati a vederla recitare. Sempre impeccabile Julianne Moore che, tuttavia, è stata diretta in passato da mani più esperte e ha portato sullo schermo personaggi scritti in modo più originale e complesso (solo per citarne alcuni, basti pensare a pellicole come The Hours e A single man).

L’intero film, seppur ben realizzato, toccante e ambizioso, risente dei limiti di una sceneggiatura non così brillante come richiederebbe il tema trattato. Nonostante ciò, l’immedesimazione dello spettatore nella protagonista è inevitabile, perché il dramma è vissuto direttamente dalla sua prospettiva in modo autentico, dal punto di vista di Alice, che non ricorda neanche più la propria identità, ma, seppur in preda alla più totale confusione mentale, istintivamente sente e sa di essere ancora se stessa, “ancora Alice”. Il finale è ben riuscito, perché mette a fuoco le emozioni vere, spogliando madre e figlia, con dolcezza e sensibilità, di fronte al loro rapporto di amore incontenibile.


data di pubblicazione 21/01/2015


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