Un film dall’atmosfera simenoniana con una fotografia sporca, scura. Con la maggiore parte delle scene che si svolgono di notte, mostrando il vero volto di una banlieu. Una pellicola che non è un giallo né un noir ma filtra un pezzo di antropologia delle tecniche investigative transalpine. Tenuto in frigo per il coronavirus ed ora coraggiosamente riproposto nelle sale italiane.
L’aplomb magnetico del principale interprete Roschdy Zem è un bel collante per un film che vive di atmosfere e che consolida un crescendo emotivo e drammatico scena dopo scena per accumulo. Merito di un regista che ha mietuto segnalazioni per il Premio Lumiére. Nella prima parte si delineano casi (un incendio doloso, uno stupro, una ragazza fugggita di casa poi un assassinio) che vengono risolti nella seconda. Non si prescinde dalla location, la squallida Roubaix, ai tifosi italiani più che altro nota come capolinea d’arrivo per una classica del ciclismo che parte da Parigi e che nel 2020 è stata annullata per il coronavirus. Il commissario di origine maghrebina tira i fili di varie indagini con la collaborazione dei uomini rodati e di un pivello a cui insegna il mestiere, in primis la tecnica di un interrogatorio. Condendo decisionismo e psicologia appare evidente la sua abilità nello sciogliere gli enigmi ricorrendo al martellamento dei possibili colpevoli, in particolare di un paio di donne che si rimpallano la responsabilità del delitto più grave. Un commissario che è un uomo vistosamente solo, che passa le sue serate nei bar e si appassiona solo alla crescita di un cavallo. Racconto in progress sigillato dalla chiusura, il fermo immagine di una corsa ippica a cui prende parte il suo preferito. Il giudizio è sospeso, senza moralismi, di una storia aperta in cui viene mostrato il duro lavoro di poliziotti duri ma tutt’altro che sprovvisti di umanità. Curatissimi i dialoghi e i particolari di un film che mantiene più di quello che prometta in partenza, rifuggendo da una qualunque seduzione commerciale.
data di pubblicazione:12/10/2020
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