(Teatro Argentina – Roma, 28/30 Giugno 2016)
“Quando ero in Ghana non ho mai recitato, mentre qui ho avuto l’opportunità di entrare nel gruppo teatrale; e sono molto emozionato di poter recitare in teatro, mai l’avrei pensato quando ero nel mio paese.” (Mubarak Rabin Bawa)
Ogni anno un milione di persone attraversa la sconfinata e traslucida distesa azzurra del Mediterraneo per trovare rifugio nella terra del tramonto. Di queste anime liquide, 3900 non riusciranno a portare a termine il viaggio, e il mare “spolperà le loro ossa in sussurri”. Mubarak Rabin Bawa è tra coloro che sono scampati al mare e fuggiti dai telegiornali; insieme con altri richiedenti asilo del C.A.R.A. — Centro Accoglienza Richiedenti Asilo — di Castelnuovo di Porto (RM) ha rinunciato a raggranellare qualche soldo durante la sua permanenza per investire otto mesi del suo tempo libero nel teatro, incontrando altri uomini e altre donne sulla “spiaggia del palcoscenico”.
Respiro è il secondo spettacolo della trilogia del Teatro del Deserto e segue l’acclamato Sabbia. Respiro come l’atto quotidiano, automatico, incondizionato; ma anche ciò che ci distingue da chi non è più vivo. Il regista, tuttavia, ci avverte che non è un’opera di teatro sociale ma una composizione poetica di scene tra teatro, danza e musica. Non c’è nessuna idea da comunicare, nessun messaggio; non c’è alcuna recita drammatica, né personaggi dove ogni attore fa finta di fare qualcun altro: una forma di teatro che contrasta con la tradizione scenica del realismo discorsivo. Al posto del recitato vi è un intreccio di parole di lingue diverse, musiche di differenti etnie, danze coreografiche eterogenê (nel ballo si distingue per la sua forza dirompente Eva Grieco, che fende il palco con movimenti estemporanei ma ben calibrati). Un pot-pourri senza intento pedagogico; diversamente dal teatro che illustra e giudica, l’azione scenica qui si presenta come semplice evento.
Tavoli, sedie, materassi costituiscono la scena, che rimembra i centri di accoglienza che ospitano gli attori: non luoghi dove i rifugiati attendono una pronuncia sulla richiesta di asilo e che sono spesso teatro di rivolte, ma anche posti di convivialità.
Una rappresentazione allegra, vivace, variopinta in cui il pubblico rimane “ferito a morte dalla vitalità” e che scatena un maremoto di emozioni alla vista della reazione degli attori all’acclamazione del pubblico: inebriati dalla gragnuola di applausi, c’è chi improvvisa uno stage diving; chi invece si guarda spaesato intorno, realizzando solo in quel momento di trovarsi in un teatro così ricco di storia come l’Argentina; e, infine, chi si stropiccia gli occhi perché non crede a ciò che vede.
Non tutti i sorrisi sono uguali, quelli che si disegnano sui loro volti a fine spettacolo sono speciali.
La loro gioia è la speranza che si può migliorare, che l’uomo possa apprendere l’uno dall’altro; e che le morti infauste e premature di qualcuno possano fungere da monito per il futuro. Pensiero condensato alla perfezione nella seguente poesia di T.S. Eliot:
La morte per acqua
Fleba il fenicio, morto da quindici giorni
dimenticò il grido dei gabbiani, e il gorgo profondo
del mare
e il guadagno e la perdita.
Una corrente sottomarina
spolpò le sue ossa in sussurri. Mentre affiorava e affondava
attraversò gli stadi della maturità e della gioventù
sprofondando nel vortice.
Gentile o giudeo, tu che volgi la ruota
e guardi nella direzione del vento, pensa a Fleba
che un tempo era bello e alto al pari di te.
— T. S. Eliot
Prezzo dei biglietti:
– Intero: 8€
– Ridotto: 5€
data di pubblicazione: 29/06/2016
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