Biglietto alla mano ci dirigiamo verso l’ingresso. La sala è stretta e lunga, ciascuna fila ha pochi posti: sembra di essere sul vagone di un treno.
Ognuno occupa il proprio sedile. Lo scampanellio assordante e continuo indica che il viaggio ha inizio, siamo sul rapido 904. Poco dopo entrati nell’imbocco settentrionale della Grande galleria dell’Appennino (Emilia-Romagna), una deflagrazione squarcia un vagone del treno. Sono attimi terribili. È tutto buio. Sentiamo i passi delle persone che vagano senza meta. Non si vede più nulla. Alcuni non riescono ad aprire gli occhi, il calore ha incollato le loro palpebre. Dopo l’orrore cui abbiamo assistito, non vorremmo vedere più neanche noi, preferiremmo restare ciechi.
La notte del 23 dicembre 1984 ci furono 17 morti e 267 feriti – ma nessun responsabile.
Dopo trent’anni, da recenti indagini è emerso che Riina avrebbe ordinato la strage; per questo motivo nelle aule del Tribunale di Firenze si apre un nuovo processo. Solo una persona si costituisce parte civile: una signora che non ha mai parlato di quanto accaduto quella notte, per lei la partecipazione alle udienze diventa una terapia. Non è l’unica tuttavia a non aver raccontato di quell’esperienza traumatica, altre persone hanno preferito tacere su quegli attimi di terrore indescrivibile. Solo per questa pellicola hanno deciso di condividere la loro sofferenza. Il loro è un fardello troppo pesante da portare, che li tormenta costantemente, tanto da diventare in alcuni momenti quasi come un rifugio dove potersi nascondere: e finiscono per provare piacere nel dolore.
Nel processo sin da subito è chiaro che sarà difficile accertare la responsabilità di quanto accaduto. Le prove sono poche e le reticenze sono molte, come quella kafkiana di Giuseppe Calò (“il cassiere di Cosa Nostra”), che – chiamato a deporre – dichiara di non aver mai conosciuto il boss di Corleone.
La sentenza della Corte d’Assise dirà che Totò Riina è assolto perché non vi sono prove che sia stato lui ad ordinare l’esplosione, ancorché è evidente che in quella deprecabile operazione ha trovato coagulo un coacervo di interessi convergenti di diversa natura.
La verità è ancora lontana dall’esser ricostruita. È frantumata in migliaia di pezzi, come i vetri delle finestre del treno: molti sono stati rimessi insieme, altri sono ancora nascosti ma con il tempo riemergono; lo stesso accade a una delle vittime di quel 23 dicembre, perché nelle parti molli il vetro non si può togliere ma col passare degli anni riaffiora ed esce. Anche la verità prima o poi verrà fuori, ma occorre avere pazienza.
L’idea iniziale del documentario era di offrire una serie di ritratti sulle vittime del Rapido 904. L’inizio del processo ha portato inevitabilmente alla revisione del progetto originario, portando alla fusione dell’aspetto giuridico con quello più intimo delle testimonianze dei superstiti. L’oggetto della pellicola è particolarmente interessante perché riguarda tematiche ancora oscure; l’approccio tuttavia non spicca per originalità e ciò impedisce alla pellicola di fare il salto di qualità.
Infine, occorre menzionare anche il luogo in cui questa proiezione è avvenuta: il cinema Kino, che ha dato la possibilità di assistere ad un dibattito vivace e interessante con il regista, Maurizio Torrealta (giornalista d’inchiesta) e una dipendente dell’archivio Flamigni (che cerca di far luce sulle stragi di Stato).
data di pubblicazione:30/01/2016
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