Le pecore, prima di scoprire, durante il film, che sono quelle di uno striscione allo stadio che nasconde un anagramma antisemita, sono certamente tutte le persone che si interrogano, nelle piazze romane e sugli schermi italiani, riguardo la scomparsa di Leonardo, il protagonista della storia. Perché il film, oltre ad essere un riuscito tentativo, pur con qualche riserva sulla lunghezza, di parlare di antisemitismo attraverso la chiave di volta dell’umorismo e della satira, è anche un racconto della nostra società cosiddetta “mediatica”, in cui si diventa personaggi e miti a prescindere dall’ideologia, dal merito, da un reale contributo storico e culturale. La storia si dipana attraverso un rovesciamento continuo, un paradosso che racconta le cadute e l’ascesa dell’autore del fumetto Bloody Mario. Un’ascesa esplicata, coadiuvata o contrastata da personalità del mondo dell’arte, della televisione, della psicologia e della tuttologia italiana che nel film interpretano se stessi (Sgarbi, Mentana, Freccero, tanto per citarne alcuni). A colpi di mitra dentro il negozio di supplì perché il pizzettaro chiede “Ma o metto o ketckup?”, di Bibbia Redux, di film come Forni felici, Caviglia ha fatto il suo esordio con questo suo primo lungometraggio alla 72ma Mostra del cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti. Il successo del film, oltre che dal pubblico in sala, dipenderà, ovviamente, dagli effetti del complotto pluto giudaico massonico, cui si devono la morte di Lennon, di Kennedy e della madre di Bambi.
data di pubblicazione 01/10/2015
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