Una ragazza, Parthenope, che ha il nome della sua città, seguita in un percorso esistenziale che si confonde con la vita stessa di una Napoli di ieri e di oggi. Il tutto in “salsa” Sorrentino.
Dopo la prima in concorso al Festival di Cannes è sui nostri schermi l’ultimo parto cinematografico di Paolo Sorrentino, regista talentuoso ma divisivo: lo si ama o lo si detesta. Certamente il film non lascia indifferenti. Certamente non è lo stesso per chi è “napoletano” di nascita o di cuore e per chi è meno incline alla filosofia partenopea. Proverò dunque a esaminare la pellicola da una doppia angolazione, elencandone i motivi che possono indurre a considerarlo il miglior film del regista e le ragioni per considerarlo, invece, pretenzioso, autocompiaciuto e manierista, inutilmente “felliniano”.
Chi ha amato La Grande Bellezza non potrà che ritrovare in Parthenope la stilizzazione visiva, monologhi spiazzanti, personaggi originali quando non grotteschi, il mistero, lo stupore, alcune scene memorabili che non svelo. La musica in perfetta sintonia con le situazioni, tante battute e aforismi sull’amarezza della vita. Sorrentino ha dichiarato che È Stata la Mano di Dio rappresenta la sua giovinezza, Parthenope quella che non ha vissuto. In Parthenope, alla sua maniera, questo ha voluto rappresentare: una città che dagli anni ’50 in poi è stata una esperienza emotiva, sensoriale, intellettuale e visiva, ma al contempo goffa e tragica. Il regista sostituisce Jeff Gambardella con Parthenope (e questo già sarebbe un merito, vista l’espressività e la clamorosa bellezza di Celeste Dalla Porta) e ne fa la sirena che seduce i protagonisti della storia ma anche noi spettatori. Va detto che convincono altrimenti le altre interpretazioni seppure fortemente marcate quando non volutamente caricaturali affidate ad attori credibili. Il professore antropologo è Silvio Orlando. lo scrittore omosessuale, John Cheever il grande Gary Oldman, il vescovo Tesorone il vulcanico Peppe Lanzetta. E se la cavano anche un’imbruttita Luisa Ranieri e una seminascosta Isabella Ferrari, come nel finale ammiriamo una Stefania Sandrelli, quale Parthenope adulta..
Su tutti e tutte, però, come anticipavo, la totalizzante bellezza, freschezza e fascino di Celeste Dalla Porta probabile futura star del cinema italiano, perfetta nel ruolo di sirena e musa ispiratrice, nonché, per i detrattori del film la sola ragione che possa giustificare il prezzo del biglietto. Ma vediamo invece e in breve alcune delle ragioni di “ sconsiglio” per la pellicola in questione. Intanto diciamo che il film dura troppo in relazione alla storia, in fondo minima, che racconta. Quindi le decine di incisi di cui è infarcito il film possono risultare dei riempitivi a volte noiosi, improbabili e/o persino disturbanti. Si dice che il troppo storpia, bene, Sorrentino riempie la pellicola di tante, troppe, cose, dando la sensazione di film diversi tra loro. Quanto al livello intellettuale di alto profilo, siamo proprio sicuri che si tratta di arguti aforismi? Non è piuttosto il compitino di un buon liceale che vuole colpire con frasi solo apparentemente anticonformiste. E alcune scene, al di là, dell’uso sapiente della macchina da presa e di una fofografia impeccabile (ma il merito è di Napoli o di Capri) non sono inutilmente forzate?. E quanto c’è di un Fellini che non ce l’ha fatta in tanti personaggi caricaturali e grotteschi? In conclusione ci viene l’atroce dubbio che il film sia stato scritto magari per il mercato americano: ieri Roma, oggi Napoli, con la “speranzella” di un nuovo Oscar. Si tratterebbe allora di un film “furbo” studiato al tavolino, ma lascio agli spettatori il giudizio finale. Per quanto detto, un merito va comunque riconosciuto. Il film incuriosisce, porta gli spettatori a vederlo e farsene una propria insindacabile idea.
data di pubblicazione:30/10/2024
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Concordo con quanto scritto. E’ vero: Sorrentino o lo si ama o lo si odia. Non concordo però sul volerlo sempre accostare a Fellini: Sorrentino ha un suo stile ed è un regista visionario del nuovo millennio, Fellini lo stato del secolo scorso seppur la sua opera sia immortale. Ritengo che lo stile di Sorrentino sia molto riconoscibile e non ha bisogno di strizzare l’occhio a nessuno per farsi apprezzare. Gli americani lo hanno premiato perchè l’Oscar è un riconoscimento internazionale ed il suo cinema è uscito dai confini del nostro paese. E’ vero: il film avrebbe potuto essere più breve, l’eccessiva lunghezza forse toglie un po’ di magia. Comunque la sale era piena e non ho visto gente alzarsi o fischiare. Anzi sul finale c’è stato più di un applauso.