Sin da bambino Kurt Barnert aveva deciso che nella sua vita si sarebbe occupato solo di arte, ed in particolare della pittura, anche se il suo primo impatto con essa fu visitando una mostra a Dresda di pittori contemporanei. I lavori esposti saranno poi definiti dal nascente nazionalsocialismo come “Arte Degenerata” in quanto considerata frutto di menti malate che distorcevano i principi stessi dell’opera classica a vantaggio di idee riprovevoli e fuorvianti. Il film è il percorso artistico di Kurt Barnert, che lo vede attraversare diverse fasi: dapprima al servizio dell’ideologia comunista dopo la caduta del nazismo, successivamente a contatto con le avanguardie postmoderne, fino ad approdare alla maniera espressiva a lui più consona che consistette nel rappresentare ciò che in quel momento della sua vita considerava di più autentico.
Il film presentato in concorso a Venezia nell’ultima edizione della Biennale del Cinema, vuole esplorare su cosa spinge l’uomo a ricercare la propria identità artistica, e lo fa essenzialmente attraverso la storia d’amore dei suoi protagonisti Kurt (Tom Schilling) e Ellie (Paula Beer) e il percorso di formazione che li legherà indissolubilmente per tutta la vita. Sullo sfondo inizialmente le crudeltà del nazismo, con le sue aberrazioni che non sembrano aver fine anche molti anni dopo, quando tutto sembra oramai sepolto dai nuovi slanci di democrazia. A tutto questo sopravvive l’arte che di per sé racchiude uno dei più grandi enigmi dell’umanità dal momento che sfugge a qualsiasi formula precostituita e nello stesso tempo però riesce sempre a suscitare in chi ne fruisce emozioni uniche ed indescrivibili.
Il film ripercorre una parte della storia tedesca, dalla guerra alla distruzione post nazista, alla ricostruzione, fino ad arrivare alla Repubblica Democratica Tedesca e alle sue fanatiche ideologie di stampo sovietico. In questo contesto si innesta la storia d’amore di due giovani che sembrano non aver paura di quello che si sviluppa intorno a loro, soprattutto delle esecrabili azioni del padre della ragazza privo di qualsiasi scrupolo verso tutti, persino verso la sua stessa figlia pur di difendere l’idea perversa della purezza della razza.
I 188 minuti di proiezione, questa è la durata del film, scorrono in un attimo tanto appassionante è la storia e tanta è la bravura degli attori. Tra questi Sebastian Koch, nella parte del cinico Professor Carl Seeband, già presente tra l’altro nel film Le Vite degli Altri, opera prima del regista Florian Henckel von Donnersmarck del 2006 premiato agli Oscar come miglior film straniero e che ottenne anche tre European Film Awards, sette German Film Awards, il BAFTA e il David di Donatello. La fotografia è curata da Caleb Deschanel, più volte nominato agli Oscar, che ha recentemente diretto alcune puntate della serie TV Twin Peaks.
Nella stesura della sceneggiatura il regista ha trovato ispirazione nell’opera di Gerhard Richter, dal quale ha appreso quanto basta per portare sullo schermo l’idea del potere universale dell’arte, dal momento che ogni opera che si rispetti non ha bisogno del suo autore ma appartiene a tutti senza identificarsi con il soggetto specifico che l’ha creata.
A Venezia durante la proiezione il pubblico ha manifestato entusiasmo mentre la critica ha accolto il film con un leggero ingiustificato distacco. Attendiamo i risultati in sala.
data di pubblicazione:05/10/2018
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Ho approcciato questo film con un po’ di timore causa le 3 ore che avrei dovuto affrontare, e sono uscita dalla sala felice di averlo visto: bello,originale, una autentica sorpresa. Una storia d’amore,che resiste alle brutture dell’ideologia nazista,fa da filo conduttore per spiegare il potere universale dell’arte. Decisamente da non perdere