Ernst Lossa è un tredicenne orfano di madre e con un padre senza fissa dimora, appartenente al gruppo nomade degli jenisch. A causa della sua natura ribelle, Ernst viene identificato come soggetto dai comportamenti disturbati e, dopo aver trascorso molti anni nei riformatori, viene internato in una unità psichiatrica diretta dal dottor Veithausen. Ci troviamo nella Germania nazista, e nella clinica dove si trova il ragazzo vengono applicate alla lettera le direttive di un documento firmato da Hitler e denominato “T4” che prevede una sorta di “eutanasia” per coloro che possiedono malattie mentali o ereditarie, con un grado di disabilità ritenuto irrecuperabile. Ernst prenderà atto di quanto sta accadendo ai bambini del reparto, dove lui stesso è ricoverato, e cercherà di opporre resistenza, denunciando senza mezzi termini i crimini di cui giornalmente è testimone. In questo luogo senza speranze, Ernst troverà nella piccola Nandl il suo grande amore.
Al regista tedesco Kai Wessel va riconosciuto, senza dubbio alcuno, il merito di aver regalato al pubblico, con questo suo ultimo e ben riuscito film, un piccolo capolavoro traghettandoci nella storia di una delle tante vittime della efferata logica nazista,. Il linguaggio cinematografico utilizzato è asciutto e senza retorica, con una sequenza di immagini crude e realistiche che riescono a raggiungere, al tempo stesso, momenti di altissima e sconfinata poesia. Qui, forse per la prima volta, non si parla di persecuzione degli ebrei, ma di “eutanasia” per nascondere quella che fu, senza mezzi termini, una eliminazione sistematica di una parte della popolazione tedesca ritenuta disabile e quindi incapace di contribuire attivamente allo sviluppo del paese. I medici, esecutori principali di questi crimini, decidevano chi eliminare sottoscrivendo diagnosi che attestassero l’incurabilità dei loro pazienti, in prevalenza bambini, che venivano soppressi solo perché colpevoli di consumare risorse che lo Stato avrebbe potuto indirizzare a scopi economicamente più validi. Attraverso l’occhio attento di Ernst, lo spettatore stesso si trova ad essere testimone di questi atroci delitti perpetrati all’interno della clinica psichiatrica dove erano ricoverati centinaia di pazienti, gente inerme e quindi incapace di un benché minimo atto di ribellione. La fotografia, nel suo rigore, non lascia spazio a sbavature ma si focalizza sulla essenzialità di situazioni vere, come a non voler dare spazio a equivoci interpretativi sul trattamento disumano a cui erano sottoposti i malati. Il regista, raccontandoci questa storia vera, porta a conoscenza delle nuove generazioni un aspetto assai poco noto delle atrocità del nazismo che si potrebbe considerare come un “precedente metodologico” che verrà applicato successivamente anche nei confronti degli ebrei. Oltre a questo aspetto, che si potrebbe definire storico, c’è un altro elemento degno di riflessione che, prendendo spunto dalle condizioni di quei degenti, riguarda invece la società di oggi e di come viene affrontato il problema della disabilità, e della diversità in generale, senza volerla minimizzare ma neanche farne oggetto da esibire. Il diversamente abile di oggi è colui che un tempo era il diverso, e questo cambio di terminologia dovrebbe assumere in ognuno di noi un significato molto profondo. Cast di alto livello, ottima l’interpretazione di Sebastian Koch nella parte del dottor Veithausen (recentemente lo avevamo apprezzato nel film In nome di mia figlia accanto a Daniel Auteuil), di grande impatto emotivo la performance dei bambini-pazienti ed in particolare quella di Ivo Pietzcker nel ruolo del giovane Ernst Lossa, con la sua carica di umanità in quel suo prendersi cura dei più deboli. Commovente il suo istinto di sopravvivenza, pur in una situazione evidentemente senza scampo, quando di notte guardando il cielo già si immaginava in America insieme alla sua Nandl, proiettato verso un futuro migliore.
data di pubblicazione:18/01/2017
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“Nebbia in agosto” è potente e al tempo stesso discreto, mentre tratteggia la sorprendente “banalità del male” di un progetto a servizio di un’ideologia condivisa. Il popolo ariano si caricava sulle spalle l’onere di rimettere in moto quel processo di selezione naturale improvvidamente interrotto dalle innovazioni della scienza e della medicina. Il resto del mondo stava a guardare. Un riflessione sul passato che, evidentemente, ne veicola una altrettanto incisiva sul presente.
Film necessario per capire ancora e sempre di più quanto la logica nazista sia stata diabolica, oltre che criminale. La nitidezza delle immagini fa da supporto alla lucida quanto efferata pratica dell’eutanasia a danno di bambini disabili al fine di purificare la razza ariana: un vero e proprio “esercizio” per andare oltre, ed allargare sempre più il raggio d’azione. Film di rara bellezza che dovrebbe raggiungere un numero molto vasto di spettatori e che, non si capisce perché, sia stato invece distribuito in pochissime sale. A mio giudizio è da non perdere!!