Tratto da un clamoroso fatto di cronaca che apre una luce sull’antropologia degli italiani. Su quelli che compravano nastrini musicali, messi in commercio da un trio di fratelli napoletani, borderline rispetto a una legge impreparata a bloccarli. La storia prende un po’ la mano al regista che, parlando di un fatto vero, lo mitizza, lo enfatizza spettacolarmente con qualche eccesso.
I fratelli Frattasio negli anni ’80 costruirono un vero impero musicale, più potente e diversivo rispetto alle major discografiche. Grazie a dieci studi di riproduzione invadevano l’Italia con i loro nastri pirata. Si calcola che vennero distribuiti 180 milioni di esemplari decretando la fortuna economica del trio che ha assaggiato il carcere e che ora si è ridimensionato vendendo scatole su dimensione più artigianale. Il plot è robusto ma il regista spreca qualche cartuccia. A che pro a esempio farci vedere la fine della storia sin dalle prime inquadrature con il mesto ingresso di Erry in carcere? La vicenda poteva essere trattata come un gustoso giallo ma così evapora in partenza la sua efficacia. C’è molto esagerato folclore nella discrezione di Napoli, dell’ambiente camorrista e nel poliziotto che persegue l’ipotesi di reato fino a incastrare definitivamente il trio. Le caratterizzazioni di Di Leva e di Gifuni certo sono più ficcanti della recitazione del trio dei protagonisti. Viene trasmessa l’immagine di una camorra molto di maniera. In realtà Erri (Enrico), l’inventore di una formula, voleva fare il disc jockey. Difatti in ambito processuale quando viene interrogato se dichiararsi colpevole o innocente sceglie inopinatamente la terza via: “disc jockey”, con lo sconcerto dei giudici. Un’ambizione frustrata che ha provocato una fortuna economica senza precedenti. Probabilmente indenne anche ai massicci sequestri di capitali operati dall’autorità pubblica. Il trio più che gestire una dimensione industriale si comportava in maniera naif e su questo il film è quanto mai esauriente e congruo.
data di pubblicazione:10/03/2023
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