(Teatro della Cometa – Roma, 21 aprile/8 maggio 2016)
Un palcoscenico che diviene un tutt’uno con il suo “dietro alle quinte”, qualche scala, una manciata di sedie e un pianoforte ben accordato: non serve nient’altro per l’omaggio che Michele La Ginestra sceglie di donare al suo Teatro.
Il sogno dell’attore, che da “uno” si fa in “centomila” per evitare di restare “nessuno”, è quello di prestare l’anima e il corpo ogni sera a un personaggio diverso: non per la gratificazione dell’applauso del pubblico, ma come atto d’amore nei confronti di se stesso, godendo della linfa vitale che solo il Teatro è in rado di infondere nelle vene dell’artista.
Non resta allora che “fare il mestiere dell’attore”, regalando risate sincere e momenti di commozione a chi, almeno per una notte, è disposto a condividere quel sogno.
Dall’iniziale omaggio a Ettore Petrolini all’intimo monologo finale dedicato al padre scomparso, la carrellata di personaggi che si avvicendano sul palco è nutrita e variegata: il cinicamente realista Don Michele, conosciuto anche dal pubblico televisivo di Zelig; il tragicomico Menicacci, promessa non mantenuta del calcio italiano che ha “giocato” nel Bari di Mazinga (non il cartone animato, il giocatore nero); un esilarante e incompreso Leonardo da Vinci; Pollicino, Pinocchio e Cappuccetto Rosso, spogliati di ogni perbenismo della morale fiabesca.
I raccordi tra le singole tessere del mosaico che compongono lo spettacolo sono affidate all’accompagnamento musicale del Maestro Paolo Tagliapietra, supportato dalle voci di Alessia Lineri, Irene Morelli e Alessandra Fineo. La rassicurante tradizione degli stornelli romani o del celebre motivetto che faceva da in introduzione alla fiabe sonore, uniti alla familiare riconoscibilità di Un bacio a mezzanotte o Minuetto, restituiscono sul piano musicale l’eterogeneità dei frammenti di Mi hanno lasciato solo.
Il titolo dello spettacolo riporta direttamente alle sue origini: dieci anni fa un improvviso vuoto nel programma del Teatro Sette rappresenta l’occasione per assemblare quattro monologhi già scritti da Michele La Ginestra, che, pur rimasto solo, trova il modo di riempire quel vuoto.
I testi si sono progressivamente affinati e arricchiti, ma resta intatta l’indubbia capacità di Michele Le Ginestra di fondersi e confondersi con il palco, con irresistibili spunti di improvvisazione, tanto durante lo spettacolo quanto in occasione dei saluti finali, che mostrano l’istintiva maestria di chi nel Teatro è rimasto “imprigionato”.
data di pubblicazione: 23/04/2016
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