C’è un afrore corporale molto siciliano in questo libro di uno scrittore isolano che ha rinunciato alle lusinghe censorie di un grande editore per percorrere una via solidale con un fidato compagno di viaggio. Un Verga del XXI secolo? L’ambizione è minore ma il profilo di scrittura non è necessariamente più basso in questa storia d’umiltà che viene dal basso, che profuma di vicoli, di stenti, di eterna lotta per la sopravvivenza nella svolta generazionale di madre in figlia, raccogliendo il testimone ingrato della prostituzione. Dove la professione è una via di mezzo tra il dover essere e l’impossibilità di sfuggire a un destino già scritto dove i protettori sono i potenti o semplici profittatori che cercano di trovare agio nel mestiere più antico del mondo. Quartetto di donne che si rincorrono nella stessa sorte in un’atmosfera di grave realismo dove non c’è mai erotismo se non la ripetitività meccanica del gesto per un mucchio di monete o per un semplice pasto. Il cocktail servito prevede sesso, amore, malattia e il miraggio di una possibile redenzione. La storia ha un’ampia forbice cronologica prendendo spunto dall’arrivo dei liberatori americani, pronti a dispensare dollari e cioccolata. L’universo maschile descritto appare ingrato e cinico, materialista e avido, con qualche minuta eccezione. L’alto e il basso sono gli estremi di profonde diseguaglianze sociali, peraltro non riscattate neanche oggi. Il linguaggio piano incentiva lo sviluppo di una narrazione accattivante di un autore che sta bruciando le tappe e che con questa operina ha iniziato a costruire una poetica che si è più pienamente dispiegata in altri tentativi di ancora più solide architetture letterari. Trapela la passione per la terra odiata e amata, ferace spunto per uno spaccato d’epoca convincente. La prostituzione a Palermo era una risorsa di vita filtrata come unica possibilità esistenziale di donne sole, mal consigliate e mal protette.
data di pubblicazione:31/01/2020
0 commenti