(Teatro India – Roma, 26/31 ottobre 2021)
In un’atmosfera post atomica una figura femminile a metà tra il punk e il metal d’annata, armata di lance di ferro, contempla una struttura piatta e suggestiva di cartone che si rivela essere un cartamodello enorme che rappresenta una casa. La donna gli gira intorno. Lo osserva ed inizia una relazione con la struttura, dapprima eliminando furiosamente il superfluo e poi iniziando la costruzione e l’assemblaggio. Si apre così Maison Mère l’ennesimo interessantissimo lavoro della performer Phia Ménard che ne cura drammaturgia e regia, in scena al Teatro India di Roma dal 26 al 31 ottobre.
Armata di forza e intelligenza oltre che di semplice nastro adesivo, la donna prosegue l’opera di edificazione, con grande caparbietà, perché gli equilibri sono instabili. E’ uno sviluppo sorprendente, perché nell’immediato non si immagina quale possa essere la forma definitiva che la casa andrà a prendere; e pian piano cresce e si stabilizza al suolo trasformandosi in un tempio, proprio il Partenone, grazie ad una sega elettrica che le permette di trasformare le pareti in colonne. Ma una nuvola si addensa sulla scena, diventando sempre più oscura e minacciosa, generando una pioggia dapprima leggera e poi sempre più fitta ed insistente. La casa non ha capacità di resistere a lungo, cede inesorabilmente e si liquefa al pavimento.
Dopo una formazione in giocoleria con Jérôme Thomas, nel 1998 la performer Phia Ménard ha fondato la compagnia Non Nova mettendo sempre al centro dei propri lavori le questioni sociali quali l’identità, il genere, la difesa dei diritti dell’uomo. La Ménard ricostruisce un villaggio Marshall di cartone a dimensioni reali in memoria del nonno materno vittima a Nantes dei bombardamenti degli alleati nel 1943, facendo i conti anche con l’assurdità di quel famoso piano Marshall che gestiva la ricostruzione seguendo modelli di case prefabbricate. Ancora una volta sorprende con il suo linguaggio fatto di virtuosismi e di ripetitività, dal forte impatto e dalla diretta comprensione, trasformando gli elementi di scena in struttura. L’artista effettua una riflessione su distruzione e ricostruzione attraverso l’esperienza, la fisicità, tenendosi a debita distanza da qualunque altro significato. E quel Partenone gabbia, casa, edificio primordiale, che implode sotto il peso letale dell’acqua apre a riflessioni che si accavallano una sull’altra, vera forza di questo lavoro, così come la nuvola carica di pioggia e distruzione che è un monito per le persone che non devono perdere di vista i valori fondamentali di un’umanità che si va sgretolando giorno dopo giorno a favore di cinismo, interessi personali esterni alla polis e culto del denaro.
Crolla il Partenone simbolo di una Unione Europea che si frantuma giorno dopo giorno tra sovranismi e Brexit. Crolla la casa, archetipo di protezione e sicurezza, solidità e riparo, così come tutto crolla sotto il peso del tempo che ogni cosa ricopre, tutto cancella, crollo al quale si può solo assistere in disparte, con dolore e rassegnazione come fa la Ménard. Unica interprete in scena, l’artista costruisce la gigantesca casa di cartone senza esitazione, come una guerriera che affronta la battaglia. Niente sangue, solo sudore, quello della tensione tra un’architettura titanica e la sua costruttrice. Rimane il dubbio di chi sia. Una mortale o una figura mitologica? Una rifugiata dei nostri giorni o l’artefice della ricostruzione?
data di pubblicazione:30/10/2021
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