Secondo la teoria di alcuni, Dio è un essere perfettissimo ma bizzarro che, oltre a trastullarsi sulle disgrazie di noi umani (concetto esemplarmente tradotto in immagini nello spassoso quanto intelligente Dio esiste e vive a Bruxelles di Van Dormael), a volte manifesta la sua infinita saggezza e indiscussa onniscienza attraverso la voce di uno, scelto forse a caso, che a questo punto verrà definito e ricordato dai posteri come un genio. Il prescelto, di suo, parrebbe non mettere nulla, se non limitarsi ad enunciare qualcosa che sino a quel momento era sconosciuto: fungendo da tramite tra gli uomini e Dio ne diventa il suo portavoce, arrivando ad affermare qualcosa che già c’è, solo che nessuno prima di allora sapeva dove fosse.
L’uomo che vide l’infinito di Matt Brown parla di questo: il protagonista Ramanujan (Dev Patel) espone formule matematiche nella loro totale completezza senza avvertire la necessità di doverle dimostrare perché lui, nel suo modo di sentirle, non ne ha bisogno in quanto quei teoremi sono come una musica, sinfonie nella sua testa. Il racconto parte agli inizi del ‘900 da Madras, in India, a quel tempo colonia britannica, dove il geniale ragazzo Ramanujan vive in assoluta indigenza, scrivendo teoremi, algoritmi, equazioni esponenziali a n incognite e la successione dei numeri primi sul pavimento di un tempio, non avendo la possibilità neanche di comperarsi la carta per trascriverle. Dopo aver fatto innumerevoli tentativi in patria per essere ascoltato, decide di inviare una lettera al famoso Trinity College di Cambridge esponendo parte delle sue intuizioni; la lettera viene intercettata dal professore G. H. Hardy (Jeremy Irons), freddo ed ostile, che inviterà il giovane a confrontarsi e ad argomentare quanto asserisce nella sua missiva.
Il film si basa su una sceneggiatura a volte traballante ed incline al melodramma che, con qualche cliché di meno, avrebbe raggiunto una maggiore incisività facendo risparmiare allo spettatore qualche lacrima di troppo. La storia di questo giovane ragazzo indiano, passato poi alla storia come un genio della matematica, scorre abbastanza fluida, mettendo essenzialmente in luce la sua conquista di un ambiente ingessato ed avverso perché troppo intriso di pregiudizi e decisamente poco incline a riconoscerne una superiorità intellettuale. Ben interpretato, il film si lascia vedere anche grazie ad una attenta ricostruzione storiografica, una bella fotografia e per quell’ingiustificato fascino che la dicitura “tratto da una storia vera” esercita sullo spettatore.
La chiave di lettura del film tuttavia non sembra doversi ricercare nel contrasto generazionale e razziale tra il protagonista e l’ambiente austero del College inglese, quanto nell’ispirazione divina delle formule enunciate che solo una sapiente dose di spiritualità indiana ne giustifica l’accettazione.
Purtroppo fa male constatare che ad un attore del calibro di Jeremy Irons siano riservati nell’età matura solo ruoli da tronfio professore universitario (La corrispondenza). Questa fase della sua carriera, non certo la migliore, è comunque di tutto rispetto al confronto dei ruoli ultimamente interpretati da Robert De Niro che, proprio nel cast assieme ad Irons in quel meraviglioso Mission, diede vita ad una delle più memorabili scene di conversione che siano mai state portate sul grande schermo.
data di pubblicazione:17/06/2016
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ora ho visto il film e concordo pienamente
Grazie per le citazioni di altri film