Liberami, vincitore di Venezia Orizzonti, è un bel film sulla possessione demoniaca. Senza calcare la mano verso derive di genere racconta il mondo degli esorcismi con ironia. Un documentario rigoroso che si guarda come un film.
Liberaci dal male. Il coro dei fedeli aggiunge Amen, poi normalmente se ne vanno tutti “in pace”. Non accade così nel bel film di Federica Di Giacomo, Liberami – antropologa di formazione, fresca di vittoria veneziana nella sezione Nuovi orizzonti – lì i fedeli arrivati da tutta Palermo per la messa del martedì pomeriggio non se ne vanno in pace, alcuni si buttano per terra, urlano, “posseduti dal maligno”. Le ci sono voluti tre anni per raccontare cosa accade a una persona “posseduta” dal diavolo e che vive in Sicilia, perché è lì che opera uno dei più richiesti esorcisti italiani, Padre Cataldo, in una periferia scorticata, in una parrocchia dove sin dalle prime luci dell’alba si accalcano gruppi di fedeli che cercano una parola di conforto o che gli venga praticato l’esorcismo. Lui ascolta pazientemente tutti, sceglie parole semplici e non ha mai un momento di cedimento, di dubbio. Gloria, Enrico, Anna e Giulia vengono allo scoperto e si lasciano filmare nei momenti più difficili della possessione. Laddove, normalmente la telecamera spinge sul pedale dell’esagerazione, del pathos o dell’horror nei film di genere, la Di Giacomo registra con discrezione la vita di chi è prigioniero del diavolo, senza enfasi e con ironia. Padre Cataldo è bonario, ma il giudizio su due genitori che gli hanno portato il figlio piccolo, un diavolo quando deve andare a scuola, è tagliente: quella famiglia non è in grazia di Dio, e soprattutto è la madre ad aver smarrito la corretta via, permettendo al diavolo di impossessarsi del più debole.
La cifra della regista è quella del vero documentarista: registra la realtà possedendo uno sguardo, una posizione intellettuale per decifrarla senza che questa diventi invadente, una tesi da dimostrare. Vediamo Padre Cataldo colpevolizzare immediatamente la madre del “bimbo indiavolato”, o in una casa, ricca di mobili e quadri pregiati, abbattersi come una scure sul superfluo che lì regna, senza risparmiare di abbondante acqua (e probabilmente rovinandole) le preziose tele seicentesche di madonne e santi, che per lui dovrebbero invece stare in una chiesa, o in un esorcismo telefonico che si chiude con gli auguri di Natale. In quei momenti si ride apertamente, e l’ironia diventa la chiave di volta, il basso continuo del film. Senza smettere di provare simpatia per il religioso e pena per i sofferenti, grazie al riso, ci si distanzia al punto giusto per guardare senza giudicare, ponendosi invece delle domande sui mondi arcani ed arcaici che convivono con la post modernità. Padre Cataldo riceve questo gregge scomposto e alla deriva, in una sala scalcinata; il tavolo è ricoperto da una cerata macchiata; le sedie spaiate. Nessuno sembra farci caso; chi va lì appartiene alla classe che compra i vestiti sulle bancarelle, e ha il trucco pesante. Nei locali alla moda del centro è il momento dell’aperitivo, ma nella chiesa di Padre Cataldo nessuno ne sa niente; due città che convivono senza incontrarsi.
È un film sulla possessione e sull’esorcismo, ma il vero racconto è affidato ai dettagli, a questo coro scomposto inzeppato dentro giacconi che imitano quelli di marca e che leggono quanto gli accade come il frutto del malocchio, di antiche invidie familiari, il male contro il bene. Sono quasi tutte donne vicine ai cinquanta, anche se Giulia ha solo tredici anni; un codice culturale che viene dal basso e da quello si alimenta. Faide familiari, corna, ma anche repressione, controllo sul corpo e sulla mente delle donne che alla fine per urlare il loro desiderio di libertà “si affidano” al male. Liberami allora diventa una supplica a stare nella vita con un altro passo, una richiesta che viene intercettata da chi, offrendo altre norme, le riporterà da dove cercano di fuggire.
data di pubblicazione: 5/10/2016
Scopri con un click il nostro voto:
0 commenti