(Teatro Lo Spazio – Roma, 7/16 aprile 2022)
Jennifer vive nell’attesa che il telefono squilli per lei. Franco avrebbe dovuto chiamarla la sera dopo il loro primo incontro, ma da allora sono passati già tre mesi e mezzo. Nella speranza che si faccia vivo, lei indossa ogni sera il suo vestito più bello e si trucca per farsi trovare pronta. Le cinque rose di Jennifer racconta la difficile condizione dei travestiti all’inizio degli anni Ottanta, un dramma di emarginazione e solitudine.
La regia di Agostino Marfella rispetta in pieno il testo di Annibale Ruccello, marcandone gli elementi di inquietudine e isolamento che denotano la vicenda di Jennifer, il travestito interpretato da Leandro Amato sul palco insieme a Fabio Pasquini. Un omaggio ad Annibale Ruccello, scomparso troppo presto trentasei anni fa.
Avvolto nella completa oscurità, un tappeto di rose rosse di stoffa irrora la superfice del palco, la stanza dove vive Jennifer. L’appartamento è in un ipotetico quartiere, dove vivono solo travestiti, forse alla periferia di Napoli o chissà in quale altra città. Le cose che possiede sono espressione di un mondo artificioso che parla di sé con uno specifico linguaggio, fatto di gusti e oggetti esageratamente kitsch, ma sono anche il ripieno che tiene in piedi un’esistenza fragile, al limite della disperazione. Necessario è il telefono che intercetta, per un problema alla linea, chiamate destinate ad altri interlocutori, ma non dell’unica persona dalla quale Jennifer aspetta un saluto. Fondamentale è il suo guardaroba di abiti di lamé e trame trasparenti, che definiscono la sua scelta. Il mondo raccontato da Annibale Ruccello è fermo al periodo a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, un’epoca fondamentale per la lotta ai diritti delle persone LGBT+.
Indispensabile la radio, che trasmette canzoni di Milva, Patty Pravo e Mina, nei cui testi la protagonista cerca conforto e spiegazioni e che per questo assurge di diritto a ruolo di personaggio dialogante (le voci sono di Gioia De Marchis Giannini e Enzo Avolio). La radio è anche lo strumento che avverte della presenza di un maniaco killer – sicuramente omofobo – che sceglie le sue vittime soprattutto tra i travestiti. È il dato che infonde la graduale inquietudine che fa da sfondo al dramma e che obbliga la protagonista a prendere ancora più distanza da ciò che la circonda.
Jennifer è un personaggio amabile, esilarante, comico, espressione di quella napoletanità che piace perché sfrontata, orgogliosa, comunque ironica di fronte al brutto della vita. Leandro Amato le dà vita e carattere, con la sua voce ricca di toni e sfumature e dalla splendida musicalità. Non lascia cadere mai il personaggio nel ridicolo, riducendolo a pura macchietta di “femminiello” al quale siamo abituati, ma gli conferisce una sacralità che lo rende inviolabile, specialmente quando il dramma – in modo lento e inesorabile – trascina Jennifer in un vicolo senza uscita, di una felicità e una rivalsa che non arrivano. Anche Anna, un travestito che si presenta a casa di Jennifer con la stessa speranza di intercettare una telefonata, è un altro esempio di questa disperazione votata alla solitudine e all’emarginazione. Nei panni del personaggio, Fabio Pasquini sembra uscito da un quadro espressionista. Grottesco e caricaturale, appare ancora più estraneo alla realtà sociale che li ha isolati. È proprio attraverso Anna che il dramma diventa ancora più inquietante, quando accusa l’amica di averle ucciso il gatto Rosinella, alla quale era visceralmente legata. Inquietudine che la complessa regia di luci, di taglio e dal basso, amplificano in modo sconcertante.
L’occasione di vedere Le cinque rose di Jennifer è da non perdere, in scena fino a sabato al teatro Lo Spazio.
data di pubblicazione:14/04/2022
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