traduzione e adattamento di Letizia Russo, regia di Luigi Saravo
(Teatro Quirino – Roma, 17/22 dicembre 2024)
Ugo Dighero è in scena al Quirino di Roma nei panni di Arpagone, il vecchio avaro e strozzino ossessionato dal controllo delle sue ricchezze. Luigi Saravo ambienta la commedia di Molière ai nostri giorni, come a dire che il vizio di arraffare denaro non ha tempo e colpisce tutti. (foto di Federico Pitto)
Balli scatenati e sensuali su brani rock, selfie al cellulare e abiti moderni riportano ai nostri giorni il celebre dispositivo scenico dell’Avaro di Molière. E non è la prima volta che se ne fa una trasposizione contemporanea. Dopotutto il vecchio Arpagone, ossessionato dal pericolo che qualcuno gli porti via il suo denaro ben nascosto in giardino, è il perfetto ritratto dell’avarizia, vizio che appartiene agli uomini di ogni tempo e di tutte le epoche. Maniaco del controllo, vuole esercitare la sua volontà anche sui figli, Elisa e Cleante, per cui programma un matrimonio che gli assicuri un tornaconto. Lo scontro generazionale, inevitabile e attuale quanto quello che separa i ricchi dai poveri, porta i giovani a macchinare dietro le spalle del padre. Complice una sensuale quanto divertente Mariangeles Torres – fantastica spalla comica per Dighero protagonista – nei panni di Frosina, la mezzana dal pantalone leopardato un po’ sensale e un po’ wedding planner.
La riscrittura del testo adattato da Letizia Russo è un buon restauro dell’originale molieriano. I pezzi ci sono tutti (personaggi, scene e intreccio) resi più vibranti da una mano di vernice fresca di un linguaggio più moderno che pesca il vocabolario dalla materia finanziaria. Tutt’altro che un pezzo di antiquariato da proteggere in vetrina è l’Avaro di Molière. Spolverato e lustrato a dovere fa ancora la sua bella figura. Semmai chiusi in teche museali ci finiscono i mobili e le suppellettili della casa di Arpagone, perché nessuno li rubi o l’uso li consumi. Così vede la scena il regista Luigi Saravo, che ne cura l’allestimento insieme a Lorenzo Russo Rainaldi.
Ma è Ugo Dighero il vero perno attorno al quale gira tutta la rappresentazione. Nel ruolo di Arpagone – accumulatore, spilorcio, arraffone e strozzino – è protagonista privo di fastidiosi protagonismi. Divertente perfino nel delirio animalesco e bestiale a cui lo conduce la disperazione di aver perso il tesoro sepolto in giardino. Fa venire fuori il risibile del personaggio senza farne una caricatura. Dighero è certamente uno degli attori comici di più spiccato talento del nostro teatro, geniale nel risolvere il meccanismo comico e scenico. Insieme a lui sul palco anche Fabio Barone, Stefano Dilauro, Cristian Giammarini, Paolo Li Volsi, Elisabetta Mazzullo, Rebecca Redaelli e il regista Luigi Saravo.
data di pubblicazione:21/12/2024
Il nostro voto:
È sempre un piacere leggere la recensione di un classico del teatro -intramontabile come i vizi umani -, soprattutto se costruita in modo così calzante e accurato.
“…spilorcio, arraffone e strozzino” sono alcuni degli epiteti più indovinati per definire, con ricchezza lessicale, la meschina povertà d’animo di Arpagone, Avaro per Antonomasia. Sembra di vederlo quasi, nella sua gestualità e nella mimica facciale. Pur se da lontano.
Grazie, Paolo.