Rudolf Hoess, comandante supremo di Auschwitz, vive insieme alla moglie Hedwig e ai suoi cinque figli in una bella villa, adiacente al muro che delimita il campo di concentramento. Mentre lui affronta con consapevolezza e grande senso di responsabilità l’incarico affidatogli, gli altri sembrano invece ignorare la tragedia che si sta perpetuando a pochi metri dalla loro casa, conducendo una vita sociale normale, spensierata e oltremodo agiata…
The Zone of Interest diretto dal regista britannico Jonathan Glazer, che ne ha curato anche la sceneggiatura, è tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis ed è stato presentato per la prima volta in concorso al Festival di Cannes 2023 dove ha ottenuto il Grand Prix Speciale della Giuria. Riconoscimento questo più che meritato per la singolare modalità delle riprese attraverso le quali il regista affronta un tema, quello appunto dell’olocausto, in maniera del tutto originale senza rendere direttamente visiva la tragedia in atto. La telecamera non entra mai nel campo di concentramento ma rimane al di qua del muro, in una zona che circonda il lager definita “di interesse”, e ci fa vivere gli orrori dello sterminio solo da lontano. Il fumo dell’arrivo costante dei treni, che trasportano masse di ebrei destinati a un programmato e sistematico sterminio, si intravede in lontananza e dal sottofondo si percepiscono rumori indistinti di armi da fuoco e le urla di disperazione di chi viene avviato a morte certa. I colori dei fiori ben curati in giardino, le tavole ben imbandite con ogni prelibatezza sono funzionali a evidenziare quanto di più cupo viene vissuto al di là di quel muro, in un sottile ma invalicabile confine tra paradiso ed inferno. Solo le ceneri provenienti dai forni crematori, in funzione giorno e notte, sembrano non rispettare questi divieti di contaminazione imposti dalla logica perversa del nazismo: invadono come possono l’aria, l’acqua dei fiumi e persino il giardino degli Hoess. Glazer presenta allo spettatore un film ridotto all’essenziale, ma lo fa nella maniera corretta e più incisiva perché non porta dentro il campo ma rende partecipi di tutto attraverso i suoni angoscianti che scuotono lo spettatore sin dai primi momenti di proiezione. I fatti più o meno sono noti a tutti, anche le giovani generazioni sono oramai sensibilizzate sull’argomento, ma questo film aggiunge qualcosa di nuovo, di radicalmente diverso all’immaginazione, va diretto a colpire la sensibilità per ricordare quelle atrocità rimaste indelebili nella storia. Ottima l’interpretazione del cast tra cui spicca quella di Christian Friedel, nel ruolo del comandante. Sorprendente la fotografia di Lukasz Zal, a volte velata e dai toni grigi, a volte piena di colori dirompenti. Tutto è poi illuminato da una luce fredda ed accecante.
data di pubblicazione:24/02/2024
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La normalizzazione dell’olocausto trasmessa per via indiretta. Con sensazioni, rumori, sentore di forni. E, accanto, feste, celebrazioni, promozioni in chiave militaresca. Glazer, regista originale, a volte eccentrico, fuori dai sentieri delle consolidate prassi, offre respiro visivo al romanzo di Amis con una evidente abbondanza di sottotesti. Dunque critica per assenza, una via originale alla sensibilità delle percezioni dello spettatore E’ questo che principalmente ha affascinato i giurati degli Oscar. Recitazione sobria, diremo molto tedesca. Non servivano star ma umili servitori alla causa dell’autore. Sobrio, ammiccante, sornione. La collocazione reale delle riprese ad Auschwitz rende ancora più realista la finzione ottanta anni dopo l’ignominia. Glazer descrive un mondo di nazisti fedeli alla causa fino all’insulto della ragione e dell’umanità. La placida linearità della trama, quasi impercettibile, che cozza contro l’iceberg di quanto stava avvenendo appena al di là del muro di cinta. Gli ebrei? Una formalità sulla via della soluzione finale. Il grande oltraggio della storia, non ancora perfettamente metabolizzata, si rivela ancora una volta una potente occasione drammaturgica portando l’ennesimo scossone alle nostre coscienze. L’efficacia sta in un’osservazione raggelata e anti-spettacolare chiedendo alla macchina di presa la giusta distanza dai fatti e dalla storia per un più razionale giudizio. La storia si fa stile nella sola apparente banale quotidianità. Però dietro l’angolo patologia e dissimulate nevrosi.