Rio de Janeiro, 1950. Eurídice e Guida sono due sorelle che vivono in una famiglia di impostazione molto rigida e decisamente patriarcale. Entrambe hanno un proprio sogno: Eurídice, già talentuosa pianista, desidera perfezionarsi presso il Conservatorio di Vienna mentre Guida cerca il vero amore in un marinaio greco conosciuto per caso. Per avverse circostanze le loro vite, un tempo così unite, verranno ad essere drasticamente separate dal padre, ma loro continueranno per anni a cercarsi senza mai perdere la speranza di ritrovarsi…
Karim Aïnouz, regista brasiliano che ha già ottenuto molti riconoscimenti nei più importanti Festival cinematografici internazionali, con il suo La vita invisibile di Eurídice Gusmão è stato premiato quest’anno a Cannes nella Sezione “ Un Certain Regard”. Il film si è subito guadagnato un grande successo sia di pubblico che di critica, che lo ha definito un piccolo capolavoro, e rappresenterà il Brasile ai prossimi Oscar. Aïnouz è stato indicato anche come un visual artist proprio per essere riuscito a infondere nei suoi lavori quei principi basilari dell’arte visiva un tempo relegati solo alle discipline tradizionali quali la pittura e la scultura: le immagini fissate sulle schermo riescono a rendere concrete e quasi palpabili le situazioni raccontate e i personaggi assumono una tale credibilità da coinvolgere emotivamente gli spettatori senza ricorrere ad espedienti da mélo. La storia è il frutto dell’adattamento di un noto romanzo della scrittrice e giornalista brasiliana Martha Batalha, ambientata in un Brasile ancora legato agli schemi patriarcali in cui alla donna è preclusa ogni libertà di espressione e, soprattutto, le viene negata la possibilità di scegliere l’uomo da sposare. Eurídice e Guida si amano e per tutta la vita si cercano: l’errore di una ricade ineluttabilmente su entrambe e, separate per sempre dai genitori, creeranno tra di loro una solidarietà profonda, tutta al femminile.
Con la splendida fotografia di Hélène Louvart, Aïnouz riesce a confezionare un lavoro pulito ed elegante, in cui le due protagoniste (Julia Stockler e Carol Duarte) si muovono in maniera più che naturale riuscendo ad alternare momenti di gioia a drammaticità e sconforto. Al regista non importa dare un messaggio sociale sulla condizione femminile di quel periodo (anche se di fatto riesce comunque a darlo), quanto piuttosto concentrarsi sui vari personaggi e sulla loro storia. Traspare in ogni istante la sofferenza di due donne schiacciate da uomini padroni, prima padri e poi mariti, capaci solo di annullare le loro aspirazioni più che legittime.
Un film che parla della forza dell’amore nonostante le avversità di un destino crudele.
data di pubblicazione:19/09/2019
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Concordo con il fatto che la storia ed i protagonisti siano centrati, ma il film è un po’ troppo lungo ed il dolore che si prova nel vedere tanta crudeltà, che ha comunque radici molto profonde e non del tutto “sradicate” tanto da sentire l’esigenza di parlarne ancora oggi, diventa a tratti una inutile agonia. Sicuramente un melò che deve piacere, con scene crude che lasciano il segno. Un buon film che non mi ha convita però sino in fondo.
Bravo Iraci nel sottolineare le peculiarità di un film pienamente riuscito con protagonisti centrati e una storia, un meló degno di David Lean