(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)
Nel Sud più profondo dell’Italia, dove ogni speranza di riscatto sembrerebbe perdersi annientata dall’egoistica logica del più forte, si accende una luce grazie alla Poesia e alla Fede. Una fiaba visionaria, un’ironia capace di raccontare i drammi di un Paese sempre sul punto di rialzarsi in piedi, ma mai capace di farlo fino in fondo.
Nella piccola comunità di Disperata, al centro di un Salento in cui la presenza di Dio si rivela nella bellezza di un paesaggio di struggente perfezione che la mano degli uomini non è però in grado di preservare come meriterebbe, la vita scorre tranquilla e monotona: il bar del paese e il suo stanco immobilismo ne rappresentano forse la sintesi più eloquente.
Il sindaco Filippo Pisanelli (Gustavo Caputo) è un uomo di lettere e di cultura: non ha il carattere adeguato per presiedere le riunioni del Consiglio Comunale, lascia decorrere i termini per ottenere i finanziamenti europei e neppure il piglio di Eufemia (Celeste Casciaro, moglie di Winspeare) riesce a scuoterlo dal suo torpore. La sola attività dalla quale sembra trovare appagante soddisfazione è rappresentata dalle lezioni impartite ai detenuti in carcere. Riesce persino nell’impresa di fare appassionare alla poesia Pati (Claudio Giangreco), malvivente dal cuore tenero che non riesce a perdonarsi l’uccisione di un cane durante una rapina finita male, tentata insieme al fratello Angiolino (Antonio Carluccio). Anche Angiolino, all’apparenza un cinico burbero che gioca a fare il bandito con pistole finte e che si vanta di imprese in realtà mai compiute, conoscerà la sua folgorazione sulla via di Damasco, grazie al provvidenziale intervento di Papa Francesco.
L’arte e la religione, in fondo, sono due vie per avvinarsi a ciò che trascende l’umana miseria, per azzerare le differenze sociali, per sperare che, in fondo, a tutti sia concessa una possibilità di rinascita e di redenzione. Se poi tanti uomini di buona volontà uniscono le forze, si può persino costruire una nuova arca di Noè, capace di salvare l’umanità da un naufragio irreversibile.
La vita in comune, inserito nella sezione Orizzonti di Venezia 74, presenta i tratti tipici della cinematografia di Edoardo Winspeare, cresciuto, non a caso, nella frazione di Depressa, in provincia di Lecce. Il legame con il territorio è evidente e viscerale, i personaggi sono ben caratterizzati e i non-attori cari al regista se la cavano a meraviglia. Inutile negare che, forse, il lavoro di Winspeare non abbia tutte le carte in regole per emergere in una competizione internazionale. La fiaba disincanta e disillusa, la disperazione di Disperata raccontata con i toni da commedia, i bagliori visionari che qualche volta illuminano il film, lo rendono tuttavia un lavoro gradevole.
La scelta del finale, poi, sembra condensare alcune delle più evidenti chiavi di lettura del film: è poetica, è mistica, è dolcemente amara.
data di pubblicazione: 03/08/2017
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