Siamo nel cuore degli anni 50, nel favoloso parco dei divertimenti di Coney Island, fuori New York. Incrociamo, introdotti da una voce narrante, le vicende esistenziali di quattro personaggi, i loro sogni, le aspirazioni, le delusioni ed anche un improbabile triangolo amoroso. Gunny (l’ottima Kate Winslet) è una donna non più giovane, mancata attrice, ossessionata da un passato di speranze artistiche svanite. E’ una sognatrice, un po’ lunatica che si trova ora a fare la cameriera in un locale sul Broad Walk, il pontile di legno sul lungomare del Parco. Piuttosto che accettare la triste realtà quotidiana, si racconta che sta recitando il ruolo di cameriera. E’ sposata, non molto felicemente, con il direttore di una giostra, Humpty (Jim Belushi) la cui figlia del precedente matrimonio, Carolina (Juno Temple), emerge all’improvviso dal buio, ove era scomparsa da anni, per ritrovare il padre e rifugiarsi a casa sua per sfuggire dei gangster che sono sulle sue tracce. Infine Mickey (Justin Timberlake), seducente bagnino, studente alla N. Y. University che aspira a divenire un drammaturgo. Mickey che è la voce narrante degli avvenimenti, attraversa la vita di Gunny e, nonostante la differenza di età, le riaccende desideri e passione per la vita per poi però abbandonarla nella sua depressione, preferendole la giovane e vivace Carolina, anche lei sedotta dal suo “allure” di scrittore.
Puntuale come il succedersi delle Stagioni, ogni anno arriva un nuovo Woody Allen. Con La ruota delle meraviglie il troppo prolifico regista lasciate definitivamente le sue non sempre felici “escursioni” fra le città europee, questa volta ci riporta nella sua New York, negli anni e nei luoghi delle sue nostalgie. I luoghi ove il suo alter ego, la voce narrante del mitico Io ed Annie, diceva di essere nato e cresciuto proprio sotto la ruota girevole del Parco dei Divertimenti.
Kate Winslet vive infatti in un appartamento le cui finestre prospettano direttamente sul Parco e sulla Ruota delle Meraviglie (ricreata con ottimi effetti speciali) che le riduce la vista sull’Oceano ma le illumina le stanze di casa con le sue luci blu e rosso, nello sfondo di magnifici tramonti. Sia ben chiaro, siamo molto, molto lontani da Io ed Annie e da altri capolavori NewYorkesi di W. Allen. Il regista ha 82 anni, si sentono tutti, ed il film è pervaso di una profonda tristezza esistenziale come mai prima d’ora. Il film inoltre ha un’impostazione molto teatrale, i dialoghi sono sovrascritti e freddamente letterari. L’azione e le vicende si incrociano come su un palcoscenico e l’interpretazione degli attori è molto manierata. La pellicola è ambientata negli anni 50, ma la recitazione è come in un film degli anni 40 e fa il verso alle atmosfere dei drammi teatrali di O’ Neil, o ancor più di T. Williams. Il personaggio di Gunny, interpretato magistralmente da K. Winslet è infatti pensato per farla quasi sembrare un nuova Blanche Dubois, l’eroina di Un Tram che si chiama Desiderio di Williams.
Quel che però rende particolare il film è la collaborazione di Allen con Vittorio Storaro. Siamo qui alla seconda collaborazione dopo Cafè Society, fra il regista americano ed il “nostro” direttore della fotografia, vincitore di ben tre Oscar. Oserei quasi dire che il film dovrebbe essere a doppia firma.
Storaro inquadra Coney Island volutamente con colori caldi e densi che rimandano scientemente ai film in Technicolor di quegli anni. I colori stessi sono poi una chiave di lettura del susseguirsi degli stati d’animo dei personaggi e sottolineano ancor più l’atmosfera di finzione, di distanza, per l’appunto quasi teatrale, fra la storia filmata ed il mondo reale.
Le inquadrature ed i set, le location ed i livelli cromatici sono , su dichiarazioni dello stesso Storaro, ispirati ai dipinti e ai colori di Norman Rockwel.
Oltre alla fotografia, punto centrale del film è la performance eccezionalmente vera ed appassionata di K Winslet che ci offre tutta la sua fisicità corporea ed è bravissima, senza cadere nei clichè , nel dar vita ad una donna tormentata, intrappolata nei sogni, che spera ancora di crearsi un diverso destino, un personaggio che ama, soffre, tenta di liberarsi, ma non trova una via di uscita. E’ condannata, il Fato gioca crudelmente la sua partita e vince ancora una volta. Memorabile l’interpretazione della Winslet nella scena del monologo, accompagnato da un crescendo di primi e primissimi piani del suo volto illuminato dalla luce della luna e dai riflessi dell’Oceano. Inevitabile il confronto fra la Winslet e la Cate Blanchett di Blue Jasmine che ci dava, a sua volta, un’altrettanta splendida e premiata “versione elegante” di Blanche Dubois. Gli altri attori, fra cui emerge la forte recitazione di J. Belushi, danno del loro meglio con diversi livelli di espressione e qualità anche se costretti in ruoli molto caratterizzati.
I film però non diventano grandi per associazione. Non bastano un’ottima e coinvolgente fotografia ed una eccezionale interpretazione attoriale a rendere grande La Ruota delle Meraviglie, né tantomeno un possibile Oscar per la migliore attrice può rendere indimenticabile un film.
Allen sembra provare a ricatturare la magia creativa di Blue Jasmine ma ne siamo molto lontani ed il risultato non ha lo spessore e la verve creativa necessari, nonostante qualche lampo di bravura. Non siamo certo davanti ad uno dei migliori prodotti della sua filmografia.
Come la ruota delle meraviglie anche la prolifica produzione di Allen gira e rigira, a volte su e a volte giù. Alcune volte il giro è più bello degli altri, altre volte invece gira un po’ su se stesso. Questa volta il regista non è certo al massimo ed il film si salva appena dal poter essere scordato. Ma … nessuna paura, nel 2018/19 è già previsto un suo nuovo film con Jude Law. Avanti con un nuovo giro di ruota!
data di pubblicazione:24/12/2017
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Nel film è da riconoscere immediatamente lo stile inconfondibile del buon Woody che nonostante l’età e le ripetizioni di stile riesce comunque a confezionare un film ben recitato e ben costruito. La fotografia è ottima e sicuramente contribuisce alla buona riuscita del film. Attribuire un discreto mi sembra estremamente stitico … e riduttivo !