Finalmente un film che ci ha circondati, avvolti e spettinati, come le chiome delle due travolgenti interpreti e le loro storie. Virzì ci diverte e commuove realizzando una pellicola in cui il confine tra la lucida razionalità e la pazzia è decisamente compromesso e dissolto, così come quello tra commedia e dramma, a metà tra Thelma & Louise, Il grande cocomero e Qualcuno volò sul nido del cuculo, in cui il mondo è diviso in due: tra quelli che vogliono stare male e quelli che vogliono stare bene… Applaudito a lungo e a ragione al 69° Festival di Cannes, La pazza gioia parla del lato oscuro che c’è in ognuno di noi, ma che in qualcuno prende quel tono di “cupa cromia” da reprimere e nascondere. Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi) e Donatella (Micaela Ramazzotti) sono due donne in cura presso una comunità psichiatrica che, approfittando della distrazione dei sorveglianti, riescono a scappare intraprendendo un viaggio al limite del credibile che ci porterà a scoprire le loro vite e l’origine della loro “pazzia”, in cui gli slanci vitali sono incarcerati nei regolamenti. Due donne che secondo alcune perizie sembrerebbero “matte”, ma che sicuramente sono alla disperata ricerca di un po’ di felicità, di quella pazza gioia che assume dei contorni semplici, innocenti, innocui.
Difficile stabilire se il film di Virzì faccia più ridere o commuovere. Una cosa è certa: è autentico, senza buonismi, pietismo, retorica o banalità. È un film sull’amicizia, sulle difficoltà della malattia ma anche un atto d’accusa nei confronti della “normalità” che, schierandosi dietro i Giudici, i Tribunali, i direttori sanitari o i medici degli OPG, troppo spesso è cieca, sorda e insensibile verso i più deboli, i più indifesi, i più generosi.
Beatrice è una istrionica, charmant, elegante e femminile contessa decaduta, sempre attenta ai dettagli e schiava della bella vita; mentre Donatella è una giovane ragazza madre dal corpo esile e spigoloso, mascolina nei modi e negli abiti, che si accontenta di avere uno spazzolino da denti, una torcia e un cellulare datato che usa solo per ascoltare a oltranza la canzone di Gino Paoli “Senza fine”, convinta che sia stata il suo babbo a scriverla per il famoso cantautore. La storia del loro incontro e della loro amicizia, nata tra le stanze di Villa Biondi, si sviluppa tra la torrida campagna toscana e il litorale tra Ansedonia e Viareggio, in una dimensione paradisiaca ed ancestrale della Maremma, e la perdizione corrotta delle discoteche.
Straordinaria l’interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi, splendida la maturità artistica raggiunta da Micaela Ramazzotti, incredibile l’armonia poetica tra le due interpreti.
Il confronto tra le due protagoniste sul lungomare di Viareggio al tramonto è un momento emozionante, carico di tante verità, in cui lo spettatore non potrà non sentirsi vicino a loro e parte di loro, in cui i farmaci e le terapie mediche vengono sostituiti da un po’ di sana sincerità ed empatia che fa dire, a chi è nato triste ma che vuole guarire, “meno male che ci sei tu”.
data di pubblicazione:20/05/2016
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Cristiano, mica tutti negativi i personaggi maschili: il padre adottivo è eccezionale ! a trovarli uomini così
Un film bello ed emozionante; ben impostato dal punto di vista psicologico-psichiatrico e come Qualcuno volò sul nido del cuculo e altri ci fa interrogare sulla complessità della sofferenza e su come ci si rapporti ad essa.
Concordo moltissimo con la recensione; sul tipo di emozioni che il film suscita, sulle riflessioni che fa fare sul trattamento della follia e sul modo giusto di operare nei servizi,.. Le attrici sono stupefacenti, e non solo le due protagoniste. Scene che ti toccano veramente (come il tuffo con il bambino). Un po’ impressionato dai personaggi maschi: veramente orribili ma realistici. Notevole comunque imbastire una commedia su tematiche così drammatiche.
In un momento storico in cui torna attuale il dibattito relativo al trattamento della malattia mentale, spesso in bilico tra le esigenze di cura della persona e quelle di sicurezza nei confronti di chi è socialmente pericoloso, la delicata poesia di Paolo Virzì consegna al cinema italiano una cartolina fatta di paure e di speranze, di luoghi chiusi ed esclusi e di paesaggi aperti e sconfinati, di responsabilità e di libertà.
Ho visto il film con piacere, considerandolo gradevole, ma con molto più piacere ho letto questa recensione ben scritta che invoglia. Pur non concordando su un giudizio così positivo – trovo l’ argomento già più volte indagato e troppo sottolineata e ripetuta la somiglianza con Thelma & Louise, per metterci paura ?, sono felice di averla letta.