Almodòvar con il suo nuovo film è riuscito a dare una forma, un colore e un viso al dolore. Si rimane ipnotizzati dal modo con cui descrive il terribile vuoto nella vita di Julieta generato dall’assenza di sua figlia Antìa: “la tua assenza riempie totalmente la mia vita e la distrugge. Esisti solo tu”. Il dolore per Pedro Almodòvar ha la forma della mela che addenta la sua protagonista, ha il colore rosso fuoco, vivo e pulsante, del cuore tatuato sul braccio dell’amato Xoan, ha l’apparente peso di un sipario di velluto che poi diviene palpitante come un leggero vestito estivo che copre il corpo ancora giovane della sua Julieta, ha il viso di lei che cambia in un batter di ciglia mentre attende che ritorni la serenità perduta. Julieta è un film misurato, “contenuto” come dice lo stesso regista, che riesce a descrivere il tentativo di continuare a vivere dimenticando lo strappo lacerante di un distacco o di una perdita, per poi interrogarsi se è davvero possibile cancellare dalla propria memoria chi si ama profondamente, quando per un puro capriccio del fato riaffiorano ingombranti vecchi sensi di colpa che si pensava sopiti.
Per la protagonista della storia i sensi di colpa iniziano ad affacciarsi molti anni addietro durante l’inverno, nel vagone di un treno, in cui fortuitamente incontra un uomo triste e misterioso. Il treno si ferma bruscamente perché un cervo ha (forse) attraversato i binari. È notte, c’è la neve e fuori fa molto freddo; tra gli uomini che accorrono dopo la brusca frenata c’è Xoan, l’uomo della sua vita. In quella stessa notte e su quel treno verrà concepita Antìa, che per molti anni riempirà le vite di Julieta e Xoan, sino a quando la vita non metterà alla prova tanta felicità.
Vita e morte si mescolano come sempre nei film di Almodòvar e le donne ne sono il fulcro. Julieta racconta ciò che la vita può riservarci e lo fa in modo asciutto e crudele, senza troppi giri di parole. L’assenza, il distacco, il dolore sordo si percepiscono in questo film anche nell’essenzialità degli arredi, nelle vecchie carte da parati di appartamenti in affitto, negli oggetti e nei libri che ad un certo punto vengono impacchettati per essere portati in un nuovo appartamento, dove andranno parzialmente a riempirne spazi precedentemente abitati da altri, ma dove tuttavia, come una fiammella, alberga il desiderio di reagire, testimoniato dall’unione dei brandelli di una vecchia foto e da una scultura in bronzo ricoperta di argilla dall’aspetto compatto, che il vento non fa cadere…
Il regista spagnolo, passando attraverso il melodramma della sua precedente filmografia, si misura con il dramma, in cui la vita della protagonista ci viene descritta come in un thriller “le cose accadevano senza che io vi prendessi parte: una anticipava l’altra…”, mantenendo tuttavia quello stile di intrecci e colpi di scena che rendono Julieta inconfondibilmente sua, in cui le azioni/reazioni di questa donna indirizzano l’intera vicenda verso un epilogo che, come in ogni film di Almodòvar e nella vita, non risulta mai essere scontato.
data di pubblicazione:29/05/2016
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Contenta che il film sia piaciuto; ho ascoltato commenti negativi dagli amici, spero che lo rivedano tra qualche anno per cogliere le ricche pennellate che dà Almodovar e quanto è sotteso perfino nei colori delle pareti. Infondo il film ci vuol dire che il dolore viene dalla mancanza di ascolto. Grazie Lucrezia
Che magnifica e invogliante recensione! Complimenti!