Dorothy “Dot” Sherman è la narratrice, protagonista adolescente, dalla quale il romanzo prende il nome. Sicuramente non è il mio romanzo preferito tra quelli scritta da Lansdale: la rappresentazione degli anni della Depressione di In fondo alla palude o L’ultima caccia sono assolutamente coinvolgenti, e sono rimasta conquistata da La sottile linea scura, ma la personalità di Dot è assolutamente unica, le descrizioni che fa di ciò che le accade: “In quel momento Herb parcheggiò accanto a me…. mi faceva sentire come se fossi seduta in un carretto trainato da un asino morto…” oppure “Nonna mi portò i giornali. Erano interessanti quasi quando fare la tintura a un topo.” o i battibecco che ha lo “zio” Elbert “… ero lì in Kansas. Avevano bisogno di qualcuno che si vestisse da pagliaccio per i bambini, per la parte dello spettacolo dedicato a loro” “Deve essere stato difficile, con una bottiglia di birra in mano….” sono assolutamente esilaranti, il linguaggio di Dot è dissacrante e la battuta ironica sempre pronta.
La prosa di Lansdale è costantemente godibile e la descrizione della vita in una cittadina del Texas della classica famiglia americana che vive ai margini in una casa mobile con lavori mal pagati e sussidi è veramente pregevole.
La storia è quella della diciassettenne Dot che vive in una casa mobile con la sua famiglia composta da madre, nonna, il fratellino Frank e la sorella con i suoi figli che, perlomeno saltuariamente, chiede asilo dalle botte del marito nella già stracolma roulotte: l’unico che manca è il padre, uscito cinque anni prima per prendere delle sigarette e mai più rientrato.
Dot, per aiutare il bilancio familiare, sfreccia sui pattini servendo la cena ai clienti seduti nelle proprie macchine al “Dairy Bob”, ed è assolutamente determinata a non compiere gli errori in cui sono cadute la sorella e la madre: vuole conseguire il diploma e non annullare la propria vita per un ubriacone che la picchi e la abbandoni con dei bambini.
L’arrivo dello “zio” Elbert sarà di aiuto al riscatto di Dot, le darà la carica e la tenacia per sciogliere alcuni nodi che la perseguitano e tentare di avere qualche cosa di più, non sarà importante cosa o come, e le fa capire che ce la può fare, può riuscire in ciò che ritiene sia giusto per lei, e glielo dice molto chiaramente: “Sai cosa penso? – disse – Penso che siamo tutti responsabili di ciò che facciamo. Non è colpa degli altri. Non è sempre colpa della genetica, e di come ci hanno fatto crescere, perché ci sono tante persone nate in contesti orribili, che hanno subito ogni sorta di torti e non per questo sono diventate spregevoli. Scegliamo di essere quel che siamo. Diventiamo quel che vogliamo essere”.
data di pubblicazione:03/07/2017
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