È marcatamente ironico l’esordio di Paolo Sorrentino nel suo incontro con il pubblico dell’Auditorium di Roma. Per la chiacchierata-intervista con il Direttore Artistico Antonio Monda non ha scelto film di Fellini, visto la frequenza con cui si trova a dover parlare di quello che parrebbe uno dei Maestri meglio riconoscibili guardando attraverso la sua macchina da presa. Passano però solo pochi minuti prima che il più recente premio Oscar del cinema italiano individui in Antonioni, Fellini e Bertolucci i “mettitori in scena” per eccellenza, quelli dallo stile unico e inconfondibile.
Le riflessioni di Sorrentino corrono lungo il filo dell’equilibrato connubio tra il “bello” e il “vero”: la rappresentazione di ciò che reale o, meglio, verosimile (“il verosimile è il regno di chi inventa”), senza però la rinuncia alla cura estetica dell’operazione di messa in scena. Il connubio in questione, realizzato con convincente disinvoltura fino agli anni Novanta, sconta ora una certa diffidenza, che porta a svalutare o comunque a guardare con sospetto la ricerca più prettamente estetica.
La prima clip proiettata è tratta da Tempesta di ghiaccio di Ang Lee, non solo modello di sceneggiatura per compostezza e solidità, ma anche un film sulla famiglia, che, pur non essendo un tema prediletto dal Sorrentino regista, è invece uno dei preferiti dal Sorrentino spettatore. A ciò si aggiunge la stima per il talento di Ang Lee, che non ha smarrito la propria cifra artistica neppure quando ha lasciato la terra natia e che sa dirigere alla perfezione i suoi attori anche in contesti complessi: difficile pensare che sul set de La tigre e il dragone non ci fosse un “urlatore”, ma “un uomo da pantofola”.
Si prosegue con La notte di Antonioni, che, forse ancor meglio de La dolce vita, racconta in maniera tragica quanto sia disagevole stare al mondo e riesce nell’ardua impresa di coniugare in maniera convincente il cinema e la musica jazz. Anche se i primi film di cui Paolo Sorrentino abbia un distinto ricordo da spettatore restano pur sempre quelli di Bud Spencer e Terence Hill.
Road to perdition di Sam Mendes, già “citato” nell’incontro con Jude Law, diviene, attraverso la sequenza della morte di Paul Newman, la sintesi da manuale di come dovrebbe farsi cinema secondo Sorrentino: come si scrive, come si recita, come si usa il suono e soprattutto come si “crea un’epica”. Analogamente a quanto avvenuto nell’incontro con Jude Law, anche oggi si parla solo in pillole del nuovo film, in lavorazione, che vede l’attore britannico diretto dal regista napoletano: un “attore senza difetto” per interpretare un giovane Papa americano, che in nulla pare ispirato a Pontefici realmente esistiti.
Una storia vera riesce invece a calare in un’atmosfera immediatamente rassicurante gli elementi di inquietudine che sono tipici della cinematografia di Linch, a conferma della genialità del regista. È un film sulla “forza sottovalutata delle cose insensate”: così Sorrentino lo sintetizzerebbe a un ipotetico produttore per convincerlo ad acquistarlo.
Mars Attack di Tim Burton chiude l’incontro ravvicinato, con la “donna aliena” e la sua imperturbabilità che si fanno veicolo di un alto tasso di erotismo.
Sorrentino saluta il pubblico della Sala Sinopoli con un inedito: La fortuna, episodio del più ampio Rio, I love you. Alla sfida di girare in soli due giorni un cortometraggio legato al tema “Rio”, Paolo Sorrentino risponde con la storia di un uomo anziano e malato sposato con una donna giovane e bella, in cui però le logiche del luogo comune risultano curiosamente invertite.
data di pubblicazione 19/10/2015
0 commenti