Cinque pezzi facili per il teatro. Monologhi lunghi a misura di attori amici, sensibili e prestativi come Valerio Aprea e Valerio Mastandrea. La definizione di monologo, atti brevi unici per il palcoscenico, non deve trarre in inganno. Perché qui c’è una prosa strutturata, con dialoghi, sbozzo di protagonisti che discendono da quello principale, descrizioni di ambienti. Dunque una genealogia di fiction che non si pone limiti nel riprodurre nevrosi e storture del mondo contemporaneo. Il teatro ha vita e dà vita solo se recitato. Ma in questi testi pulsanti di umanità e di empatia la capacità comunicativa dell’attore è decisamente in primo piano. Sono i testi di cui è facile innamorarsi e che ogni lettore potrà provare a riprodurre coerentemente con il suono della propria voce, pista teorica per un audiolibro autogestito. Atti comici ma drammatici che sono piaciuti a Serena Dandini. Particolarmente divertente quello che evoca la esulcerante deriva gastronomica del popolo italiano, la devozione per qualunque tipo di cibo e l’esecrazione per il veganesimo o il vegetarianesimo, autentici tradimenti di una predisposizione quasi primordiale e ferina. Sono testi che montano. Che partono con un adagio che diventa un prorompente assolo jazz nella rottura degli schemi logici verso una devianza di comportamenti che appartiene al nostro mondo di infingimenti, di divisione tra pubblico e privato, impilato in un falso buonismo. Torre ha il piglio del profilo basso ma chiarissime intenzioni distruttive nei confronti del tipo di società che viviamo, dove le colpe sono sempre degli altri (comodo scaricabarile). Attua la destrutturazione con le armi del teatro, scendendo sul campo tecnico della contraddizione che è la vera forma di vita di questa arte. Immaginiamo un possibile futuro su Rai5 per questi monologhi, tra l’altro una piacevole e non intellettualistica proposta di lettura per l’estate. Libri come cibo di cui abbiamo bisogno come medicina e antidoto per l’esistenza.
data di pubblicazione:02/07/2019
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