Se la speranza è un vizio è difficile toglierselo, soprattutto se è il carburante che alimenta la resistenza e l’attesa, per poi rinascere.
Il corpo di una bambina si impiglia tra le reti calate nel fiume Volturno: ha indosso l’abito bianco della prima comunione, imbrattato di sangue. È ancora viva quando un uomo la issa sulla propria imbarcazione. Nelle baracche lungo quello stesso fiume vivono donne-schiave che vendono il proprio corpo in cambio di una esistenza polverosa e terribile, dove non c’è posto per vite future. Su quel fiume conduce la propria esistenza anche Maria che, assieme al proprio cane, traghetta prostitute incinte, perlopiù nigeriane, per ordine della orribile Zi’Mari, allo scopo di andare a vendere i figli che stanno per partorire. È inverno, piove e fa freddo, addirittura nevica: Maria compie ogni azione con dedizione e fedeltà nei confronti di quella “padrona ingioiellata” che è proprietaria anche della sua vita e di quella di sua madre che, inerme all’interno di una di quelle baracche lungo il fiume, se la fa scorrere addosso senza dare nulla in cambio a quella figlia così amorevole e devota.
Ancora una volta Castel Volturno è il luogo dove Edoardo De Angelis “blinda” la sua storia, una parabola laica con una connotazione quasi arcaica, ambientata in un sottomondo campano dove sembra impossibile trovare tenerezza, speranza.
L’impressione che di pancia si prova vedendo il film, che ha già vinto il premio del pubblico alla Festa del cinema di Roma ed i premi come miglior regista e migliore attrice protagonista al Tokyo International Film Festival, è quella di una lenta resistenza umana di fronte alle atrocità, senza che ci sia una vero e proprio obiettivo se non quello di aspettare un evento, qualcosa che ti faccia capire che vale la pena ancora di combattere e continuare a sperare. Secondo il regista la nascita di un figlio, non quando tutto è pronto ad accoglierlo ma quando non ci sono affatto le condizioni per farlo, è l’evento che può sollevare vite disperate.
Il film non eguaglia Indivisibili, ma ha una lirica che arriva diritta al cuore, che ci desta come lo schiaffo che riceviamo da neonati per farci capire che siamo venuti al mondo.
La musica, affidata al grande Enzo Avitabile, e la sceneggiatura a quattro mani di De Angelis e Umberto Contarello, fanno de Il vizio della speranza un film profondo, suggestivo come un presepe dei nostri tempi bui, ricco di metafore dalla prima all’ultima scena, intriso di un lirismo che commuove e colpisce.
data di pubblicazione:21/11/2018
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La recensione ha colto e analizzato secondo me in modo esauriente tutti gli aspetti più importanti del film. Il vizio della speranza è un film che ti emoziona e che ti prende fin dalle prime riprese pur essendo ambientato in uno scenario squallido , quello di Castel Volturno dove tutte le brutture si danno per scontate e dove regna la rassegnazione di chi è costretto a viverci da vittima o da carnefice ma dove in Maria, la protagonista, riesce a farsi largo la voglia di riemergere, di affrancarsi, di reagire in nome della vita che porta in grembo. Ho trovato commovente l’immagine della natività ripresa in una delle ultime scene ed il film mi è talmente da accostarlo mentre lo guardavo ad uno degli innumerevoli film del grande Pasolini dove i protagonisti sono “gli ultimi”.
Concordo pienamente con la recensione. “Il vizio della speranza” è un film che forse avrebbe necessitato di qualche messa a punto ulteriore, ma la cui lirica segna lo spettatore in maniera indelebile. A me, per esempio, è capitato di ripensare spesso, dopo aver visto il film alla Festa del Cinema di Roma, alla fotografia cupa, alla musiche struggenti, alla storia drammatica ma non del tutto disperata: e questo, per quanto possa valere la mia opinione, è un obiettivo che solo raramente il cinema (non solo italiano) degli ultimi anni riesce a raggiungere.