(Teatro Vascello – Roma, 21/26 marzo 2023)
Continua l’indagine della Compagnia Lombardi-Tiezzi sulle arti tratta dalla trilogia di romanzi dello scrittore e drammaturgo austriaco Thomas Bernhard. Questo secondo capitolo dedicato alla musica segue Antichi maestri, che rifletteva invece sulla funzione dell’arte pittorica. In scena al teatro Vascello Il soccombente nella riduzione teatrale di Ruggero Cappuccio dalla traduzione di Renata Colorni. (foto di Giusva Cennamo)
Al centro della scena, alta e imponente, si staglia una cornice di luce a forma triangolare. La rigida geometria di questa immagine colpisce per eleganza e simmetria. L’occhio si abitua fin da subito a un’idea di perfezione. Non ci sono dubbi che si tratti della raffigurazione simbolica della relazione che lega i tre personaggi di cui narra la vicenda. Una relazione prima di tutto professionale nata anni prima al Mozarteum, prestigioso conservatorio musicale di Salisburgo, dove i tre avrebbero dovuto perfezionare la loro tecnica pianistica a lezione da Vladimir Horowitz. In realtà solo uno di loro riuscirà per tenacia, genialità e dote naturale ad arrivare alle vette della perfezione musicale e del virtuosismo artistico. È Glenn Gould, famoso per aver lasciato una delle più stupende esecuzioni delle Variazioni Goldberg di J. S. Bach. Nella struttura triangolare non può che occupare il vertice in alto, mentre gli altri due, Wertheimer e l’amico narratore della storia, sono destinati a rimanere schiacciati in basso e a soccombere. Al centro della scena un pianoforte Steinway che rimane però muto oggetto, più simile a un catafalco che a uno strumento di espressione artistica, simbolo di un potere distruttivo che può avere l’arte se presa come sfida e sconfitta anziché come esempio.
Fu proprio durante il primo ascolto delle Variazioni suonate da Gould che i due amici decisero di abbandonare lo studio del pianoforte, rinunciando per sempre alla carriera di concertisti. Fu quello il momento che decretò il loro fallimento, la loro frustrazione. Wertheimer infatti si sarebbe suicidato anni dopo, impiccandosi a pochi passi dalla casa della sorella che, stanca di essergli a servizio, lo aveva abbandonato al suo destino; mentre l’altro sarebbe rimasto a vagare per l’Europa torturato dai ricordi con il solo scopo di scriverne un libro.
La storia prende forma proprio da ciò che vive nella memoria del personaggio narratore impersonato da Sandro Lombardi. Un uomo ormai anziano ossessionato dal ricordo di Glenn Gould, il quale non compare però in scena se non rievocato in immagini di repertorio proiettate da uno schermo. Con lui sul palco appaiono due figure evanescenti, i fantasmi di Wertheimer e della sorella di questo, a cui danno corpo Martino D’Amico e Francesca Gabucci. Sono gli interlocutori di un dialogo interiore, che rimangono incastrati in una luce secondaria, irreale, mai diretta e naturale come quella che illumina il personaggio narrante. Sono il giusto contrappunto che nella partitura registica di Federico Tiezzi si accompagna alle inconfondibili sonorità della voce di Sandro Lombardi, nonostante il testo drammaturgico non sembri andare oltre o stravolgere la struttura linguistica e narrativa del romanzo. La melodia si arresta definitivamente sul finale, quando senza riuscirci il narratore si siede sullo Steinway per un ultimo inutile tentativo di farlo suonare. La verità è che l’uomo è infelice nella sua essenza, impossibilitato a raggiungere la perfezione. Non gli resta che aspettare muto la morte che venga a liberarlo.
data di pubblicazione:25/03/2023
Il nostro voto:
La proposta risente di una certa staticità di scena. La parola domina sui movimenti invano ravvivati dall’accendere e lo spegnersi delle luci per ritrovare posizioni differenti dei tre protagonisti. La maestria di Lombardi è dominante. L’ipocondria extra-sovranista di Bernhard induce a qualche sorriso. Non sopportava minimamente la vita in Austria o Svizzera. Tra gli spettatori anche un interessato Nanni Moretti.