É un film sobrio, raffinato e profondo Il signore delle formiche di Gianni Amelio, a cominciare dal titolo che pone l’accento innanzitutto sull’amore per la ricerca di Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio) come studioso di mirmecologia, oltre che come filosofo e artista, vissuto e processato sul finire degli anni sessanta per plagio, vittima di un’Italia che ci sembra così lontana, ma che in realtà non lo è, intrisa di perbenismo e cattolicesimo bigotto.
Denunciato dalla famiglia del ventitreenne Ettore (nome di finzione per indicare Giovanni Sanfratello) con l’accusa di averlo plagiato per poi abusarne sessualmente, Braibanti nel 1968 (un paradosso considerando la contestazione collettiva) fu condannato a nove anni di reclusione – poi ridotti a due per i suoi meriti di partigiano – mentre la famiglia del giovane “condannò” Ettore ad una reclusione in ospedale psichiatrico per curare la sua devianza con l’elettroshock. Il film, rispettoso nel ricostruire i fatti di cui Aldo Braibanti rimase vittima, è uno spaccato della società dell’epoca in cui si pensava che “se sei omosessuale, o ti curi o ti spari” (citazione derivante da un ricordo dello stesso regista), e che fosse inutile la protesta per argomenti come l’omosessualità perché “le contestazioni si fanno per il Vietnam non per gli invertiti”.
Amelio ci parla di diritti violati in quanto durante il processo l’opinione pubblica era in accordo con l’accusa, mentre l’avvocato della difesa “rideva” durante le sedute in aula, trovata scenica questa per evidenziare la sua quasi inutilità di fronte ad un epilogo in cui tutto sembrava già deciso. Ma il regista sottolinea anche come la strada per la tutela dei diritti civili in genere sia ancora lunga e dolorosa: nel film, durante una contestazione di giovani nelle fasi finali del processo, c’è un’apparizione di Emma Bonino com’è oggi affinché fosse riconoscibile la sua figura, e ciò non solo per ricordare tutte le lotte per i diritti civili fatte dal Partito Radicale, ma anche per inviare un messaggio molto chiaro ed attuale: le battaglie per la tutela o l’ottenimento dei essi sono importanti e vanno combattute.
Il cast di attori è davvero di livello alto: Lo Cascio e l’esordiente Leonardo Maltese danno prova di grande bravura soprattutto negli assoli; ben centrato anche Elio Germano nel ruolo di Ennio, un giornalista de L’Unità che si reca sovente in carcere a trovare l’imputato più per esortarlo a reagire che per intervistarlo: “il fascismo era reale: deportavano, torturavano, uccidevano. Tutto questo invece mi sembra una farsa.”
Nel 1968, Aldo Braibanti venne condannato in base all’articolo 603 del Codice Penale che perseguiva il reato di plagio: ”chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla a uno stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”. Fu l’unico caso in cui venne applicato, prima di essere abolito nel 1981 perché incostituzionale e pertanto di fatto cancellato dall’ordinamento giuridico penale.
data di pubblicazione:09/09/2022
Scopri con un click il nostro voto:
un film che colpisce allo stomaco per l’argomento che tratta (non conoscevo il fatto di cronaca). Nel complesso un buon lavoro, ma ho trovato la recitazione degli attori troppo esagerata e caricata. L’unico “nella parte” mi è sembrato Elio Germano
Non si può tuttavia non pensare, guardando ai giorni nostri, che la lotta per i diritti è ancora lunga e per questo bisogna essere grati ad Amelio per aver mantenuto acceso il dibattito e la riflessione
Solo la sensibilità di un regista del calibro di Gianni Amelio poteva raccontare la storia di Braibanti nel termini così crudi ma anche così densi di significato. Del resto uno che anni fa riuscì a partorire il
film Il ladro di bambini, anche quello capolavoro assoluto, è senza dubbio la persona giusta per affrontare un tema non solo commovente ma soprattutto devastante.