Carcere di Civitavecchia (Roma). Quattro detenuti (tre uomini e una donna) usufruiscono di un permesso di 48 ore. Luigi, cinquantenne, da quasi vent’anni in galera, ha in mente solo una cosa: salvare il figlio. Donato, mosso da una rabbia insaziabile e giustificata, è alla ricerca di sua moglie. Rossana, giovane ricca ed agiata, vuole solo godersi la temporanea libertà, al pari di Angelo, ragazzo di borgata, che, nel frattempo, durante la detenzione, ha studiato e si è laureato.
Quattro persone ed altrettante storie profondamente diverse, che si intrecciano, seppur parzialmente, consentendo comunque ai protagonisti di cercare e trovare, in questo breve termine, qualcosa di profondo e significativo, magari per la prima volta nella vita.
Presentato, in anteprima assoluta, alla ventiseiesima edizione del Noir in Festival, con Il permesso – 48 ore fuori, Claudio Amendola torna alla regia dopo il debutto, in chiave comica (ma comunque significativa) avvenuto con La mossa del pinguino, e lo fa con un film crudo, potente e diretto, che rappresenta con intensità il degrado di periferia e quello di una certa, alta borghesia, quasi a dimostrare che i drammi umani non hanno età, esperienza e classe sociale.
Scritto (anche da) De Cataldo (autore, tra l’altro, dei libri Romanzo Criminale e Suburra), Amendola dirige con maestria i protagonisti, che, grazie a tali 48 ore lontane dalle sbarre, troveranno se stessi e la consapevolezza del proprio presente e futuro, nel caso di Rossana ed Angelo, la forza di difendere gli affetti più cari, per Luigi, o il riscatto attraverso la vendetta (contro una vita di abusi e soprusi), nel caso di Donato.
Il ritmo è sostenuto e la narrazione scorre fluida, senza cali o interruzioni di sorta. Ottimo debutto nel noir/thriller per Amendola.
Data di pubblicazione: 15/12/2016
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