Nel 1915, in Anatolia, durante le terribili vicende del genocidio degli armeni, il fabbro Nazaret ne passa di tutti i colori, perde persino la voce a causa di una ferita (il “cut” del titolo originale), pensa di aver perduto le sue due bimbe ma poi viene a sapere che sono ancora vive e parte per una difficile ricerca che lo porterà in giro per mezzo mondo.
Questo film del turco Fatih Akin dovrebbe essere il terzo di una trilogia sulla vita, la morte e il demonio, cominciata con La sposa turca, continuata con Ai confini del paradiso, due pregevoli pellicole abbastanza innovative dal punto di vista anche tecnico e drammaturgico, di cui questa attuale non sembra neppure lontana parente. Siamo infatti difronte a un corretto polpettone stile anni ‘60, ben girato e illustrato ma anche molto prevedibile da tutti i punti di vista che piacerà probabilmente a un grande pubblico sensibile alla commozione e magari, anche all’Academy, ma che non aggiunge nulla alla poetica dell’autore. A poco vale l’accurata colonna sonora volutamente straniante, mentre l’unica metasequenza intelligente e fantasiosa è quella del parallelo tra il mutismo del protagonista e quello di una comica di Charlot.
Inoltre c’è da dire che l’edizione italiana ha un doppiaggio troppo tipo “fiction di rai uno” ed infine il titolo scelto, Il padre, fatalmente sottolinea la parte melodrammatica del soggetto (il papà che sacrifica tutto per trovare le figlie), a scapito di un più lacerante significato esistenziale (una ferita di un uomo e di un popolo) a cui allude il titolo originale.
data di pubblicazione 09/04/2015
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