Dopo sette anni di assenza ritorna sul grande schermo Francesca Archibugi e lo fa con un film apparentemente minuto ma infinitamente profondo. Il nome del figlio narra la storia dei quattro protagonisti – i fratelli Betta e Paolo Pontecorvo (Valeria Golino e Alessandro Gassman), Sandro (Luigi Lo Cascio), marito di Betta, e Claudio (Rocco Papaleo), loro amico da una vita e “moderatore” del quartetto – attraverso l’alternanza tra presente e passato. Presente e passato si avvicendano tra le mura della casa radical chic di Betta e Sandro al Pigneto e i flashback delle estati dell’infanzia e dell’adolescenza trascorse dai quattro amici nella Villa al mare della famiglia Pontecorvo. Ai magnifici quattro amici si aggiunge il quinto personaggio di Simona (Micaela Ramazzotti), la moglie di Paolo: donna un po’ naif dell’estrema periferia sud di Roma, “la tigre di Palocco”, senza alcuna “dinastia” prestigiosa alle spalle incarna per gli altri una superficialità che, però, è solo apparente. Simona è prigioniera della sua bellezza e della sua genuinità interlocutoria e, dunque, dello stereotipo “bella e scemotta”, ma in realtà è proprio lei, occhio puro, esterno al quartetto e scevro dell’altisonante responsabilità del nome Pontecorvo, che riesce a cogliere l’autenticità delle cose e, soprattutto, i pensieri, i segreti e le sofferenze irrisolte dei quattro amici. La scena si muove attorno ai cinque personaggi seguendoli nei loro movimenti e nelle loro espressioni facciali più intime, anche grazie alla penetrante, e per questo fastidiosa, telecamera dell’elicotterino telecomandato dei figli di Betta, durante la cena organizzata a casa di Betta e Sandro per l’annuncio del nome scelto da Paolo e Simona per il figlio che aspettano. Mentre però Simona è in (perenne) ritardo, Paolo catalizza l’attenzione della cena su di sé improvvisando uno scherzo proprio sul presunto nome scelto per il bambino che nascerà fra qualche mese. Dalla puerile burla si innesca un giuoco degli equivoci che finalmente lascia uscire i quattro amici dalla prigionia dei rispettivi scheletri nell’armadio, da quei piccoli rancori e pensieri mai rivelati e portati silenziosamente con sé dalle lontane estati di Villa Pontecorvo. Tante piccole confessioni si alternano a piccole recriminazioni attraverso battute dal ritmo incalzante, ironico e mai banale. Tutti i cinque attori rappresentano al meglio un microcosmo della società attuale. Quello che ne emerge è una perfetta pièce teatrale proiettata sul grande schermo che mette a nudo l’animo umano, la sua fragilità. Come Simona è prigioniera della figura “bella, ignorantella e superficiale”, così l’incomunicabilità rende ognuno dei quattro amici prigioniero di uno stereotipo moderno: Betta dell’eccessivo amore per Sandro e del suo rinunciare sempre prima di prendere una batosta; Paolo non riesce ad andare oltre il consumismo e l’apparenza, in un’affannosa edificazione della propria posizione sociale fondata sulla ricchezza e su un’immagine di sé e della moglie votata ad una perfezione patinata; Sandro, professore di lettere e scrittore senza fama, si crede l’unico portatore/custode del verbo italiano per poi rifuggire la realtà, temere il dialogo e il confronto con il prossimo, e trovare soddisfazione nella comunicazione virtuale dei tweet. E poi c’è Claudio, musicista precario che vive di arte e che ormai da dieci anni ha incentrato la propria vita, e dunque negato una parte di sè ai suoi amici, sul proprio amore segreto per una misteriosa donna. In questo dolce caos, fatto di sentimenti, ricordi, sogni e incomunicabilità, Simona con la sua semplicità e con la complicità degli equivoci riesce a sciogliere le fila di quella ragnatela in cui forse ormai da troppo tempo il quartetto storico si era arenato. La sceneggiatura di Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, con la (ormai) matura macchina da presa della prima, ci regalano un film perfetto dal finale a sorpresa che arriva dritto al cuore. Ottima l’interpretazione della Golino – irresistibile nelle sue movenze per la casa dove unisce l’efficienza della mamma/moglie “serva” alla donna che tenta di prendersi cura anche di se stessa con la ginnastica isometrica fai da te – di Gassman, Papaleo e Lo Cascio. Anche Micaela Ramazzotti è perfetta nell’orami perenne ruolo di donna schietta, genuina e nevrotica, ma forse vorremmo vederla cimentarsi anche in ruoli diversi, senza la solita sigaretta nervosa e senza il solito rimmel colato mentre singhiozza. Film da vedere!
data di pubblicazione 25/01/2015
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