La storia di due coppie: un editore che deve far fronte alla rivoluzione digitale che investe il mondo della scrittura e dell’editoria, sua moglie attrice di successo (Juliette Binoche), uno scrittore autobiografico, depresso, e la sua compagna (Nora Hamzawi). Un quartetto e, con loro, i loro amici intellettuali parigini, tutti indistintamente, ciascuno a modo suo, in preda a dubbi e perplessità sulle loro scelte di vita e professionali davanti ai cambiamenti che sono costretti a subire e che non sono più in grado di controllare.
Film che ho perso alla recente Mostra di Venezia e che ho inseguito poi sui nostri schermi romani. Ma … lo dico subito, una delusione! Assayas è un regista e sceneggiatore francese con oltre 20 anni di carriera e discreti successi, suoi i recenti Sils Maria (2014) e Personal Shopper (2016) accolti entrambi positivamente sia da critica che dal pubblico di cinefili. Questa volta l’autore cambia registro e fa un’escursione nel mondo dell’editoria per parlarci dei mutamenti in atto come spunto per poterci poi parlare anche delle conseguenze dei mutamenti di costume nelle relazioni di coppia. Tutti sono doppi, tutti i personaggi hanno delle doppie vite e dei doppi fini (ben più corretto il titolo originale Double Vies, perché non mantenerlo? Vecchia questione questa dei titoli originali mal tradotti o fuorvianti), di cui il regista ci svela progressivamente segreti, ipocrisie e compromessi. Tutto è doppio: nelle vite, nelle coppie, nei libri autobiografici, nella realtà e nella politica. Il tema è certamente interessante, per l’autore non c’è una verità assoluta, tante infatti sono le possibili messe in scena della vita e tutte sono contraddittorie. Il regista avanza dubbi e domande riflettendo sulla cultura, sulla società che si evolve e sul fallimento della politica e delle utopie. Temi interessanti, ma risultati non certo all’altezza. Tanto pretestuoso è infatti lo spunto di affrontare il mondo dell’editoria, tanto pretestuoso, banale ed aneddotico è poi lo sviluppo filmico che ne consegue. Una specie di divertissement molto radical-chic, tutto intellettuale e fine a se stesso, un giochino che potrebbe, forse, riuscire a toccare le menti degli spettatori, ma non certo le loro emozioni.
Il Cinema francese, si sa, è da sempre un cinema molto “parlato” ove il linguaggio, le parole hanno un ruolo fondamentale, significativo e talora poetico, ma, nel nostro film i personaggi parlano, parlano e parlano senza mai arrivare ad alcun punto, il punto forse è solo il parlare ed il continuare a parlare. Se intenzione di Assayas era poi di voler prendere in giro una certa borghesia parigina persa fra cene e salotti intellettuali in cui si dibatte di argomenti di moda solo nel loro mondo esclusivo, il risultato è, ancora una volta, scarso perché poco convincente, privo del necessario mordente, di raffinatezza ed intelligenza. Al contrario, anche il discorso dell’autore si avvita su se stesso e sul piacere narcisistico di ascoltarsi parlare.
Un po’ poco, un po’ troppo poco direi io, da un autore come Assayas. Il film mostra fin dall’inizio tutti i suoi limiti, sarebbe forse bastato limitarsi ad accennare, invece il regista tende a sottolineare ed ancora a sottolineare cosicchè la storia inizia dopo poco a girare a vuoto, perdendo ogni mordente, salvo che lo spettatore voglia appassionarsi ai dibattiti fra intellò durante le varie cene, tutti eguali e tutte eguali.
Una storia povera, una quasi pigrizia di scrittura e sciatteria di riprese che lascia fin da subito perplessi. Un film decisamente non riuscito nonostante la buona interpretazione della Binoche e della Hanzawi e qualche lampo di humour, o piuttosto, di sarcasmo. Speriamo solo che Assayas torni presto ad essere all’altezza di se stesso con molte meno chiacchiere e più impegno
data di pubblicazione: 26/12/2018
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Film costruito su dialoghi stereotipati e insulsi,basati su raffica di riflessioni sul digitale,ricchi di parole vuote come vuote sono le relazioni sentimentali,prive di qualsivoglia coinvolgimento’ affettivo
Splendida la Binoche