(Teatro Vascello – Roma, 1/18 febbraio 2018)
A sipario ancora chiuso, la voce fuori campo di Manuela Kustermann ci introduce allo spettacolo spiegandoci del perché di questa ripresa teatrale de Il gabbiano di Cechov dopo venti anni dal debutto sulla scena proprio al Vascello con la regia del grande Giancarlo Nanni. Un doveroso e soprattutto sentito omaggio al regista scomparso nel 2010 e che insieme a lei aveva creato questo spazio teatrale, un progetto ambizioso che ben si inseriva nell’entourage artistico-culturale della capitale. La Kustermann riprende quindi una pièce a lei ben nota e certamente cara, curandone i costumi ma lasciando le scene così come le aveva dipinte Nanni, la cui formazione artistica aveva enormemente influenzato la sua attività di regista teatrale, sia nella prosa come nella lirica, firmando lavori rimasti ancora oggi indimenticabili.
Il gabbiano che insieme a Il giardino dei ciliegi è probabilmente l’opera di Cechov più rappresentata, è oggi più che mai di grande attualità perché pur essendo considerata come lo studio di una certa classe borghese russa di fine ottocento, rispecchia altresì il dramma dell’uomo di oggi nella sua lotta tra quello che è e quello che vorrebbe essere: una dicotomia che travaglia l’umanità intera rendendola infelice. Le aspirazioni dell’uomo, e dell’artista nello specifico, che si trova imbrigliato in un conflitto generazionale senza soluzione di continuità, partono dal desiderio di affermazione; il successo di alcuni farà tuttavia da contrappunto alle insoddisfazioni di altri, perché l’essenza della vita non è da ricercare nel presente né tantomeno nel futuro, ma è da riscoprire in ciò che si manifesta nei sogni, lontano dai condizionamenti e dalle ingannevoli apparenze. Il cast ricomposto da Manuela Kustermann, che interpreta il ruolo dell’attrice Irina, sembra essere perfettamente idoneo a rappresentare il pensiero di Cechov, muovendosi quasi in assenza di gravità tra luci e drappi colorati che ben identificano i diversi stati d’animo dei personaggi. Lorenzo Frediani nel ruolo di Kostantin, figlio di Irina e aspirante scrittore, riesce pienamente ad esprimere l’animo tormentato di un uomo non più amato, figlio di una madre anaffettiva, ipercritica e spietata nei suoi confronti. Ecco che Cechov, forse ispirandosi in questo lavoro larvatamente a Ibsen, ci pone di fronte ad un teatro nel teatro, in un incastro che ricorda le scatole cinesi, dove il contenuto diventa esso stesso contenente ed il significato diventa significante, in una correlazione senza fine. Una nota di merito va comunque a tutto il cast composto da Massimo Fedele, Eleonora De Luca, Anna Sozzani, Sara Borsarelli, Paolo Lorimer e Maurizio Palladino.
Lo spettacolo del Centro di Produzione Teatrale La Fabbrica dell’Attore si replicherà fino al 18 febbraio. Da non perdere.
data di pubblicazione:03/02/2018
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