La Atwood è una gran signora della letteratura internazionale, di gran successo ed anche di gran talento, autrice, fra l’altro, dell’ottimo L’Assassino Cieco (2000) e ovviamente de Il racconto dell’Ancella (1985). Il suo stile è sempre fluido, la prosa sempre gradevole ed espressiva, una penna veramente bella ed elegante. L’autrice ci regala un nuovo bel romanzo, un racconto forte, potente ed intenso che torna a parlarci del mondo distopico già immaginato 35 anni fa nel libro che la rese famosa: Il racconto dell’Ancella. Chi non ha già letto questo libro o non ne conosce la storia? se non altro per aver visto l’omonima serie televisiva o averne almeno sentito parlare per i risvolti e le speculazioni politiche e sociali che ha messo in moto la sua pubblicazione.
C’era proprio bisogno di un suo seguito dopo 35 anni? Forse sì forse no, certo, forti devono essere state le pressioni dei tanti lettori, forti quelle editoriali, forti le spinte derivanti dalle evoluzioni/involuzioni della realtà politica di questi anni … la Distopia stava, in effetti, quasi divenendo realtà! La Atwood ha però avuto l’intelligenza di non lanciarsi in un banale seguito, troppo tempo è infatti passato dall’uscita del primo romanzo! Più che di “seguito” sarebbe infatti più corretto parlare allora di “sviluppo”. Il libro del 1985 è stato e resta un unicum a tutti gli effetti per intensità emotiva e per forza di impatto, assolutamente ineguagliabile ed irripetibile. Si tratta quindi, a ben vedere, di due romanzi ben distinti per qualità e spessore anche se basati sulla stessa base storica. Pur ritrovando le stesse situazioni, il tono ed il racconto sono ovviamente diversi.
Siamo 15 anni dopo nella realtà distopica immaginata, cambia il soggetto narrante, questa volta tre testimonianze femminili, complementari fra loro, raccontano da diversi ruoli sociali e da diversi punti di vista, gli ultimi giorni della terribile teocrazia, basata sulla purezza dei costumi e sulla sottomissione delle donne, che ha preso il potere in parte degli Stati Uniti. Quindi, non più lo studio psicologico e claustrofobico di una donna asservita e che sognava la libertà che dava vigore e spessore al primo romanzo, ma, al suo posto, un brillante studio sociologico del mondo creato dalla fantasia visionaria e premonitrice della scrittrice. L’utopistica Società di Gilead dietro la cui apparente facciata di virtù puritane collettive si nascondono le peggiori turpitudini e diseguaglianze individuali.
Mentre nel primo libro il fascino era nella visionarietà, nell’ambiguità e nel non definito, ne I Testamenti tutto è invece ben più definito, il lettore sa che l’incubo è fallito e ciò toglie indubbiamente parte del fascino del mistero, ma restano ancora tutte le emozioni e la forte umanità dei personaggi e la loro progressiva presa di coscienza. La Atwood, l’abbiamo già detto, è una narratrice senza pari e la sua scrittura conferisce vigore e forza alle situazioni ed ai caratteri anche se nella narrazione c’è un’ovvia riduzione dell’originalità, alcune ridondanze e vari sviluppi narrativi più formali che sostanziali. Ciò non di meno il libro è buono e resta una lettura piacevole, coinvolgente e scorrevole che è stato giustamente premiato da critica e pubblico, ma che, sia ben chiaro, non può, né tanto meno intende o suppone di riproporre le emozioni di cuore e di mente già suscitate tanti anni fa da Il Racconto dell’Ancella.
data di pubblicazione:29/06/2020
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