Presentato in anteprima al Telluride Film Festival, apprezzato come film di apertura della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, Hostiles rappresenta il malinconico ultimo viaggio del capo Cheyenne Falco Giallo, ormai malato di cancro, scortato dal capitano Joe Blocker su incarico dello stesso Presidente degli Stati Uniti. Durante il trasferimento accadrà di tutto, fra ostacoli naturali, nemici bianchi & pellerossa ostili, fantasmi del passato. Il racconto si apre con un pensiero di D.H.Lawrence: nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita.” Anche di questo parla il film!
Diciamolo subito: non dovete aspettarvi un western adrenalitico, ricco di indiani e sparatorie (che pure non mancano, alternate a lunghe pause). Con Hostiles, siamo sul versante del “crepuscolo del West “ in salsa “revisionista”. È una importante e non banale pellicola su quella pagina della storia americana che esplora il difficile rapporto fra i bianchi, vincitori (esercito, coloni, affaristi) e i nativi (le diverse tribù della grande nazione indiana), sconfitti dalla guerra, dalle malattie, dal … progresso. La struttura del film non è però quella di un documentario, bensì la tragica rappresentazione di un lungo straziante ma avvincente viaggio durante il quale tutti i personaggi coinvolti sono splendidamente disegnati e approfonditi. Un film, principalmente, di paesaggi, di attori, di atmosfere. Rosalie Quaid (un’intensa Rosamund Pike) è la giovane madre che vede, nella drammatica scena di apertura, trucidata la sua famiglia nell’attacco alla sua fattoria da un manipolo di Comanche, ladri di cavalli. I suoi silenzi, il suo odio represso, il desiderio di vendetta, la dolcezza e il perdono sono tutte facce della stessa medaglia e la Pike, candidata all’Oscar le ha rese in modo impeccabile. Altro personaggio imprescindibile è il capitano Joseph Blocker (Chrisian Bale, baffuto e imperscrutabile) un ufficiale che ha partecipato al massacro di Wounded Knee, certamente non incline a rapporti idilliaci con i pellerossa, ma che da soldato accetta comunque un incarico che va contro tutto quello in cui aveva precedentemente creduto. L’attore inglese, taciturno e indurito dal passato rende convincente la lotta interiore e il passaggio dall’odio alla pacificazione con gli indiani che scorta. Con poche parole, ma con il suo innegabile carisma, Falco Giallo (Wes Studi) affronta con dignità e umiltà il suo ultimo viaggio e, nelle occasioni “ ostili” ha coraggio e persino empatia verso i suoi oppressori, mostrando loro che a volte le diversità fra le genti sono solo apparenti. Il gruppo tutto, infatti, unito nelle avversità farà scudo: i soldati impareranno a fidarsi dei “prigionieri” indiani (la famiglia di Falco Giallo), Rosalie adotterà la piccola indiana, unica sopravvissuta dopo l’estenuante odissea e, lo stesso Blocker renderà onore al capo morente e, nella scena finale, ormai in borghese, prenderà lo stesso treno di Rosalie, diretta a Chicago, per un sottile e non esplicito happy end.
Hostiles, per montaggio e inquadratura, da apprezzare in pieno su grande schermo è, oltre un drammatico e avvincente spettacolo di oltre due ore, anche una risposta che il regista vuole offrire a un Paese che oggi come allora erge frontiere e muri invece che cercare dialogo con le diversità e sceglie la frontiera americana, magnificamente fotografata da Masanobu Takayanagi, per attualizzare temi quali tolleranza e perdono. L’operazione può dirsi riuscita a pieno.
data di pubblicazione:25/03/2018
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Il Western è morto! Viva il Western! Quante volte abbiamo sentito dire che questo genere cinematografico che ha avuto i suoi momenti di gloria fra gli anni 20 e la fine dei 60 fosse ormai morto o moribondo, ed invece, eccolo rinascere e sembrare avere ancora tanti bei giorni avanti a sé, ogni volta che appaiono film che lo ravvivano e risvegliano l’attenzione del suo pubblico.
Concordo con le riflessioni fatte nella recensione, Hostiles è un magnifico western, epico, dolente e brutale, perfettamente diretto ed interpretato, che gioca sui vari codici del genere senza scadere nel manicheismo degli indiani perfidi e cattivi e dei bianchi buoni e giusti. E’ un film che, nello spaesamento di una lunga “odissea”, da una parte esalta la bellezza del “grande paese” e dall’altra esalta la dolorosa necessità di ciascuno di noi di dovere alfine ritrovare i valori dell’umanità perduta e del riconoscimento “dell’altro da sé”.