Al salone “Più libri più liberi” 2015 ci troviamo davanti a una elegante signora in nero, lunghi capelli biondi sulle spalle e una voce calda, quella di Annie Ernaux che ci parla della sua nuova fatica, Gli anni. Rispondendo alle domande che le sono state poste spiega come siano importanti per l’empatia del lettore le parti che parlano di pubblicità, politica, musica, televisione, tutti argomenti che sono parte della nostra quotidianità e che rendono il lettore partecipe di un “sentire comune”.
L’idea è quella di un romanzo autobiografico, Annie Ernaux fa di più perché raccontando la sua vita ci propone in realtà un viaggio dal primo dopoguerra a oggi in cui è la Storia a fare da protagonista. Lei stessa definisce questa sua opera “un’autobiografia impersonale”, proprio perché la sua figura, che si muove all’interno del libro, ci permette di essere spettatori di istantanee della Guerra d’Algeria, delle lotte sessantottine, della politica di Mitterand; tutti noi possiamo riflettere su quei cambiamenti, ripensare a come eravamo e cosa sentivamo. Il libro è un susseguirsi di fotografie del nostro modo di essere perché, di fatto, la Storia è fatta dall’insieme delle vite di ognuno di noi.
Ma il suo racconto non è fatto solo di eventi pubblici noti, è anche un susseguirsi di minuziose descrizioni di interni, l’evoluzione della moda, del succedersi dei pranzi di famiglia che mostrano i cambiamenti epocali che si rincorrono uno via l’altro; personalmente sono rimasta sconcertata dalla verità del nostro rapporto con gli oggetti, un tempo desiderare qualche cosa e ottenerla creava un senso di soddisfazione prolungato nel tempo e che si radicava in noi: gli oggetti tanto anelati “si offrivano agli sguardi e alle ammirazioni altrui” mentre ora la velocità dei cambiamenti è tale che si è concentrati sul continuo rincorrere senza riuscire a godere di nulla di quello che si ha, sempre alla ricerca di qualcosa di più.
Le parole con cui l’autrice descrive l’avvenimento che ha creato un confine, un prima e un dopo nella nostra storia contemporanea, il momento “che non poteva essere creduto, né pensato, né sentito, soltanto visto e rivisto sullo schermo di un televisore” è quello dell’11 settembre in cui “tutti cercavano di ricordare in che attività fossero impegnati nel momento esatto in cui il primo aereo aveva colpito la torre del World Trade Center, mentre coppie che si tenevano per mano si gettavano nel vuoto” una descrizione così viva che mi ha riportato alla mente il dolore di quei momenti.
Benché abbia molto apprezzato la struttura del romanzo, forse avrei gradito un approfondimento maggiore, perlomeno di alcune fasi della vita. Così mi sono sentita quasi una spettatrice davanti a un vecchio filmino in super8, immagini da colori ormai improbabili che scorrevano velocemente sul muro bianco, una concatenazione di momenti i cui si sorride al ricordo di una pubblicità o si aggrottano le sopracciglia al pensiero di una disgrazia; ma tutto troppo veloce, tutto con un tempo che non lascia prendere fiato e sedimentare i sentimenti che si creano rimangono solo in superficie, per poi svanire come bolle di sapone.
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