(Teatro Belli – Roma, 19/23 novembre 2019)
Tre atti unici, sei personaggi, un filo conduttore: il valore delle cose. Una divertente riflessione sul possesso materiale degli oggetti che ci circondano.
Ed trascina sua moglie Alex a una mostra di modernariato. È il giorno del loro anniversario ma lui l’ha dimenticato, tanto è frustrato dal suo lavoro di pittore che non arriva ad esporre da nessuna parte. Se la prende con la fin troppo pragmatica moglie, colpevole di percepire i pezzi esposti come semplici oggetti di quotidiano utilizzo anziché opere senza tempo di artisti di design contemporaneo. Steff e Dee si sono conosciute in chat appena un mese prima e subito vanno a vivere insieme nell’appartamento arredato alla perfezione e con gusto di Steff. Il problema nasce quando Dee, a cui non interessa nulla o poco dei mobili della compagna, porta con sé le sue cose, tra cui una poltrona davvero orrenda che non si sposa con il resto. George, infine, è un anziano signore omosessuale malato che deve organizzare il suo testamento aiutato dal nipote Michael. Lo zio vorrebbe lasciare in eredità al ragazzo una chaise longue di grande valore – dove addirittura Judy Garland ci è svenuta sopra –, ma Michael stenta a coglierne il senso.
Sono tre situazioni diverse, guidate tutte da un unico tema: il potere iconico di un oggetto capace di evocare miti e glorie del passato, che rende schiavo chi lo possiede per ciò che rappresenta e che è dotato di una eternità che all’uomo non è dato di avere. Il combattimento tra gli oggetti e loro legittimi padroni, e tra questi e il senso di morte e finitezza dell’esistenza, sta alla base della riflessione di Sonya Kelly. Gli oggetti in scena sono i veri protagonisti della pièce e sono le corde che delimitano un immaginario ring dove i personaggi si scontrano in accesi e divertenti dialoghi. Ottima la traduzione – non solo meramente linguistica – di Natalia di Giammarco, che sa restituire sfumature di significato, giochi di parole e battute a doppio senso contestualizzate nella nostra cultura e adattate al nostro gusto.
Ogni atto riporta sempre lo scontro tra un protagonista – intestardito a difendere quello che ha o quello che ha fatto – e il suo antagonista. Il secondo dovrebbe ricordare all’altro che più importante di quello che si ha è quello che si è, ma la lezione morale è solo apparente. In realtà anche questi sono incastrati nell’idolatria di qualcosa, per cui il loro ruolo si riduce a un semplice innesco della sfida con il rivale. Il dato comico sta qui: è la società dei consumi a essere oggetto di sarcasmo e di beffa, e tutti ci siamo immischiati. Tuttavia i personaggi diventano consapevoli di questa testarda schiavitù alle cose, e per questo ci fanno sorridere e riflettere, perché in fondo sono vicini a noi e alle nostre – più o meno taciute – fissazioni.
data di pubblicazione:20/11/2019
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