(Teatro della Cometa – Roma, 16/28 Febbraio 2016)
Urla strazianti provengono da una donna sul letto di un ospedale: una partoriente richiama tutte le sue energie per dare alla luce sua figlia; ma la nascitura non ne vuole sapere di uscire. La madre, con un ultimo sforzo, riesce a liberarsi del corpo estraneo. Alla vista della bambina dai lineamenti sgraziati che ha partorito, si volta e si copre con il lenzuolo bianco.
La scena appena descritta non è solo l’inizio dello spettacolo in commento, ma è anche uno dei quadri (la cui immagine è proiettata sullo sfondo del palcoscenico) più strazianti e violenti della pittrice messicana. Attraverso la rappresentazione teatrale dei capolavori di Frida Kahlo, la piecé si prefigge di ripercorrere la vita unica dell’artista in tutte le sue nuance.
Tra i temi che sono trattati, vi è: il complicato rapporto della pittrice con la madre; il dolore fisico che la affligge durante la sua esistenza, prima a causa della poliomielite e dopo per via dell’incidente in cui rimane coinvolta mentre si trovava su un autobus (e non sulla macchina guidata dal marito, come invece lascia intendere la rappresentazione); l’intimo legame di Frida con la morte — elemento costante nei suoi quadri —, atteso che nella cultura colombiana il trapasso è considerato una rinascita; le passioni travolgenti, per suo marito (il pittore Diego Rivera) e per quella che si dice esser stata la sua amante (la fotografa italiana Tina Modotti).
La mise-en-scène dei diversi quadri è intervallata da video proiettati non solo sullo schermo ma anche verso il pubblico, creando un effetto suggestivo che immerge lo spettatore nella realtà vissuta dall’artista (anche se forti dubbi si nutrono riguardo la visibilità di tale effetto da tutti i posti della sala). Non solo proiezioni, ma anche la performance di una ballerina nerboruta permette il cambio di scena. Danza e video che, sebbene d’indubbia qualità, finiscono per essere un elemento di distrazione rispetto al fulcro della rappresentazione, nonché poco inerenti con la trama dello spettacolo.
Buona la prova attoriale della protagonista (Alessia Navarro), alle prese con un personaggio impegnativo — ancorché risulti spesso malriuscito e goffo il tentativo di emulare la voce mascolina dell’artista messicana.
Per quanto riguarda la sceneggiatura, il testo non è incisivo e i dialoghi sono per lo più sconclusionati e imprecisi: non diradano i dubbi circa la figura dell’artista, ma — anzi — li infittiscono.
“Piedi, perché li voglio se ho ali per volare?” questa la celebre frase della pittrice scelta per concludere lo spettacolo, il quale, tuttavia, ha ali di Icaro che non gli permettono di decollare.
data di pubblicazione 25/02/2016
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