Franny è un benefattore, conosciuto nella città di Philadelphia come un filantropo, ma anche come un miliardario che sa godersi la vita pur avendo investito molti dei suoi soldi in un ospedale pediatrico, soldi che nessuno sa da dove vengano perché Franny non lavora; Franny non ha una famiglia propria ed elegge a sua una coppia di amici e la loro figlia Olivia, che chiama amorevolmente puzzola e di cui diventa uno zio acquisito. Franny ha capelli bianchissimi, è eccentrico nel vestire ed ha una parola buona per tutti, soprattutto per i pazienti-bambini del suo ospedale. Franny vive da cinque anni nella suite di un lussuoso albergo pur possedendo una splendida casa che non abita, tiene discorsi in pubblico e all’occorrenza canta My girl accompagnato da un’orchestra solo per dare il benvenuto a puzzola, dopo averle appena comperato una villa immersa in un bosco perché quel posto rappresenta la sua storia, ed un passato con cui fare pace. Franny è Richard Gere, ha il suo sorriso, i suoi occhi, che anche dietro un paio di occhiali riparati con lo scotch sanno infiammarsi e spegnersi all’occorrenza, ha la sua sensualità anche se appesantita da qualche chilo accumulato nel tempo: ma per Gere il tempo non è una variabile inesorabile, anzi aggiunge ulteriore fascino alla sua persona, ed anche se questo suo nuovo personaggio si serve di un bastone per deambulare, conserva tra un passo e l’altro quella sua splendida “andatura dinoccolata” di antica memoria.
Film indipendente, diretto dall’esordiente Andrew Renzi, Franny si basa solo ed esclusivamente su una bella interpretazione del grande Richard, che ripone in questo personaggio tutta la sua vitalità, sensibilità e profondità maturate in tanti anni di onorata carriera. Peccato che la sceneggiatura sia praticamente inesistente ed i pochi personaggi che ruotano intorno al “sole Gere” siano trasparenti, non centrati nelle loro parti comprimarie e per nulla incisivi. Probabilmente questa era l’intenzione del regista anche autore dello script, dare al protagonista della storia la parte della sua maturità artistica, ma non basta a far “decollare” un film che rimane sempre al punto di partenza, diventando a tratti soporifero se non fosse scosso sempre e comunque dal ciclone Gere. Peccato: occasione mancata.
data di pubblicazione 01/01/2016
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