Bilancio positivo per il Festival del cinema (ora di nuovo Festa di Roma): la presenza ridotta di folla all’interno del villaggio dell’auditorium (carente quest’anno della sala Santa Cecilia) è stata compensata dai cinema sul territorio e soprattutto dalla qualità dei film presentati.
“ Pochi ma buoni” può essere lo slogan della Festa, diretta per la prima volta da Antonio Monda. Pare che le minori presenze siano dovute a tappeti rossi poco attraenti per il pubblico, ma il Direttore Artistico ha obiettato che gli attori di grido sarebbero venuti con film di livellonon elevato, mentre il suo modello di riferimento è il Festival di New York.
Le 313 proiezioni, su ben 14 schermi, cioè le consuete sale dell’Auditorium più le nove sale sparse sul territorio romano, hanno visto la presenza di 48.206 persone fra paganti e gratuiti e di quasi 5 mila accreditati.
Non ci piace parlare di cifre, preferiamo parlare di qualità che senz’altro ha caratterizzato questa nuova impostazione della Festa. Si nota l’assenza della sezione EXTRA, seguita con interesse dagli affezionati, che spesso la preferivano ai film in concorso, ma non sono mancate interessanti sorprese ed esperimenti o film didattici da sostenere e diffondere. Una magia saracena di Vincenzo Stango, per esempio, riuscito racconto di storia della matematica, snobbata nel nostro paese e giustamente associata alla capacità critica poco in uso in un futuro, nel quale ragionerebbe per noi solo un cervello centralizzato.
Mancanza di capacità critica, dovuta all’input sociale dell’obbedienza, indagano anche gli esperimenti degli anni ’60 portati avanti dallo psicologo Stanley Milgram nell’interessante, e con riuscite soluzioni registiche, Experimenter di Michael Almereyda.
Psicologi da indagare, invece, nell’inquietante documentario The confessions of Thomas Quick di Brian Hill, sul serial killer svedese degli anni ’80; pellicola che può essere inserita – dati gli anni passati in manicomio penitenziario dal protagonista della vicenda – anche nel filone claustrofobico, cui appartengono molti dei film di questa kermesse, facendone quasi un filo conduttore.
Primo tra tutti il delicato, nonostante lo scabroso argomento di reclusione della vittima a scopi sessuali, Room dell’irlandese Lenny Abrahamson, regista conosciuto con Garage del 2007; con poesia, oltre analizzare non superficialmente il dolore della donna, riporta alle nostre coscienze lo stupore della conoscenza del mondo da parte dei bambini, ma anche la loro intatta capacità critica dovuta al non essere ancora inseriti nel meccanismo sociale.
Tra i film col tema della chiusura in casa, un grande interesse ha suscitato The Wolfpack di Crystal Moselle, già in sala, che ha meritatamente ottenuto, dalla giuria presieduta da Giovanni Veronesi, il Taodue Camera d’Oro per la miglior opera prima. La stessa giuria ha premiato, con una Menzione speciale, Mustang di Deniz Gamze Erguven, già scelto per partecipare agli Oscar; tratta di cinque bellissime sorelle chiuse in casa in un villaggio turco.
Mentre la giuria (composta da 22 ragazzi e ragazze tra i 15 e i 18 anni, selezionati in tutta Italia ) del concorso Young/Adult di Alice nella città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, ha ritenuto di premiare Four Kings, opera prima della regista tedesca Theresa Von Eltz, che segue quattro ragazzi rinchiusi in un ospedale psichiatrico.
Di questo filone può far parte anche il visivamente accattivante Office del grande regista cinese Johnnie To, sui meccanismi insiti in un gruppo chiuso, come quello di una grande società miliardaria: un prezioso musical.
A pieno titolo ci rientra il messicano Distancias cortas, che fa parte anche del filone latino americano, cinematografia, a buon diritto, pluripremiata negli ultimi festival: un ragazzo obeso si autoisola in casa per le sue difficoltà a relazionarsi con gli altri.
The Whispering Star del giapponese Sion Sono: chiusi in un container che è, una delle tante geniali invenzioni visive di questo film, un’astronave, giriamo insieme alla postina spaziale nell’universo mondo, attratti dall’elegante fotografia in bianco e nero.
Interessantissime le retrospettive: “I film della nostra vita”, che accomuna in modo quasi affettuoso le menti dei cinefili, con un film scelto a testa dai membri del Comitato di selezione; riportare all’attenzione il nostro grande Antonio Pietrangeli è stata un’operazione graditissima a molti, come far conoscere finalmente l’imperdibile regista cileno Pablo Lorraìn dalla forte cinematografia.
Da ringraziare i selezionatori per gli altri numerosi buoni film, impossibile da citare tutti, per alcuni dei quali rimandiamo agli articoli in questa testata.
Una buona notizia: la maggior parte dei film e perfino dei documentari usciranno in sala per essere visti, ci auguriamo, dal grande pubblico.
data di pubblicazione 25/10/2015
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