Coraggiosa scelta quella di uscire con un libro di poetica quotidiana nei giorni confusi del coronavirus. Supremo sprezzo del pericolo? Ilaria Grasso non ha paura di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, come si direbbe con linguaggio vintage perché la voglia di osare è nelle sue precipue corde. Il libro lancia un senso di sfida ai luoghi comuni del mainstream ricollegandosi a quell’importante filone di poesia civile che ha due nomi di riferimento, pur diversi, come Franco Fortini e Nanni Balestrini. Senso delle cose da fare e sguardo più lontano e consapevole rivolto a un’utopia sullo sfondo. Un acuto senso di libertà pervade le pagine. L’ampio numero delle dediche è funzionale ad ancorare alla sua personalissima poetica e alle cornici di riferimento: donne in minoranza, lavoratori indifesi e, appunto, gli indomabili utopisti che si ribellano al tran tran del quieto vivere di una borghesia nazionale più che mai insidiata dalla crisi e dalla obsolescenza valoriale. Il libro è impreziosito dalla prefazione di Aldo Nove ma si potrebbe dire in un senso più generale dall’ampia filiera di riferimento culturale dell’autrice movimentista. Una poesia che non è ferma ma è atto politico, indice di movimentismo, occasione per scuotere radicalmente le coscienze. Un sasso nello stagno e scagliato con consapevole violenza. Scene di vita quotidiana irrituale, lampi di poesia nel buio di esistenze prosaiche. Il libro non ha sinossi di contro copertina perché ambisce a farsi giudicare solo per i suoi contenuti. Ma è anche un testo ironico, privo della serietà politicante, dei complottisti, dei molto diffusi profeti di ventura e di sventura. La Grasso maneggia il verso con padronanza lessicale. Accelera e frena con proprietà e lo stesso montaggio dei contributi poetici obbedisce a una questione di intima e delicata grazia interna. In copertina un rider, potrebbe anche essere quello che si è tolto la vita lanciandosi da un ponte a Firenze, dopo un licenziamento improvviso.
data di pubblicazione:23/05/2020
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