DOSTOEVSKIJ di Damiano e Fabio D’Innocenzo, 2024

Il detective Enzo Vitello è a capo delle indagini che stanno seguendo gli spietati omicidi, apparentemente senza un nesso logico tra di loro, di un serial killer a cui hanno dato il nome Dostoevskij. Alla base di questa scelta c’è il fatto che, dopo ogni esecuzione, l’omicida lascia sempre una lettera in cui manifesta la sua cupa visione del mondo. La polizia cerca di interpretare questi messaggi criptici per costruire un identikit credibile che possa rivelare la personalità dell’assassino…

 

Dopo il successo di Favolacce, presentato alla Berlinale nel 2020 dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura, e dopo l’insuccesso di America Latina, flop ammesso dagli stessi autori, ecco che i fratelli D’Innocenzo ritornano al grande pubblico questa volta con una serie televisiva. In anteprima mondiale al Festival di Berlino di quest’anno, è stata proposta per pochi giorni al cinema, dividendo i sei episodi in due parti, prima di andare in autunno su Sky. Ancora una volta i due enfant prodige del cinema italiano si trovano impegnati in qualcosa che va al di là di ogni plausibile aspettativa. La trasgressione, in tutte le forme immaginabili, sembra essere il punto di forza di questi giovani registi, per niente convenzionali, che hanno imparato a trasmettere sensazioni sgradevoli con un tono e una leggerezza a volte disarmanti. Probabilmente condizionati dalle proprie origini, i D’Innocenzo amano descrivere un’umanità di disadattati che vivono in miseria estrema, ai margini della società. Così, anche in questa storia, troviamo che i personaggi coinvolti devono fare i conti con la propria realtà nel tentativo di rappacificarsi con un passato scomodo, tutto da seppellire. Il racconto tiene ovviamente conto della figura di un killer seriale senza scrupoli, ma ciò in cui si concentra l’attenzione riguarda il personaggio del poliziotto (Filippo Timi) e del suo ruolo, di padre fallito e assente, nei confronti della figlia (Carlotta Gamba), oramai tossica all’ultimo stadio. Proprio questo tentativo di recupero di un rapporto irrecuperabile è ciò che tiene sveglio l’interesse dello spettatore. Il killer da protagonista diventa a questo punto l’attore secondario della scena. L’unica immagine di lui ci arriva tramite le sue lettere, lasciate accuratamente accanto ai cadaveri, in cui si manifesta un disadattamento sociale, e dove si concretizzano quelle che gli stessi registi definiscono “le estreme conseguenze di essere vivi”. Un film in cui ritroviamo di tutto, tra squallore e degrado estremo, dove si evidenziano gli archetipi di una società, oramai alla deriva, che non li riconosce più come suoi. Si rimane stupiti e conquistati dalla recitazione di Carlotta Gamba dove a Berlino era presente quest’anno, oltre che nella serie Dostoevskij, anche nel film in concorso Gloria di Margherita Vicario. Dopo aver interpretato l’eterea figura di Beatrice nel film di Pupi Avati su Dante, risulta difficile immaginarla nel ruolo di una ragazza istintiva, con una grande fragilità e con un enorme trauma da superare.

data di pubblicazione:05/08/2024


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